Susan Sontag - Sulla fotografia

Sezione Principale - Fotografie e Passioni

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cliqueur
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Dato che Sontag è molto citata in alcuni ambiti ho deciso che volevo capire un po' meglio.
E' un libro complicato, scritto quasi quaranta anni fa, e sono tanti, che ripercorre la fotografia sin dalla metà del 19o secolo.
Ci sono diverse cose che mi hanno colpito
  • - la stigmatizzazione dei fotografi-turisti che mettevano in posa gli indiani e li pagavano per mostrare loro i loro riti per fotografarli
    - l'idea che, in modo diverso sui due lati dell'oceano, si proceda ad una manipolazione del messaggio visuale delle fotografie essenzialmente non scegliendo come i soggetti vengono raffigurati, ma quali soggetti ed in quali cose presentare
Niente di nuovo sotto il sole? Si combina con la conclusione che ho recentemente maturato, e cioè che conta si il come ed il cosa si fotografa, ma conta molto di più cosa si sceglie e cosa si stampa per presentarlo. Le fotografie in un cassetto, o in una scheda di memoria, o su un sito annegato da migliaia di altri siti, o una fotografia annegata in mezzo a miliardi di altre fotografie molto difficilmente assolveranno la loro funzione comunicativa.
Valgono solo le fotografie che vengono diffuse.
E' interessante l'analisi di Sontag dei diversi moventi di Sander, di Arbus, o della commessa di Stryker della Farm Security Administration rispetto a quello di comunicazione durante la seconda guerra mondiale.
Nel primo caso la comunicazione sosteneva la necessità di aiutare le vittime della grande depressione, nel secondo il bisogno di mostrare come, nonostante il dramma della guerra, la società americana energeticamente progrediva.
una affermazione che mi trova in disaccordo è che "la capacità delle macchina fotografica di trasformare la realtà in qualcosa di bello proviene dalla sua relativa debolezza come mezzo per trasmettere la verità". E poi che l'umanesimo dei fotografi "maschera le confusioni tra verità e bellezza, che sono alla base della disciplina fotografica".
In realtà come si diceva prima, la fotografia è manipolazione: come si fotografa, cosa si fotografa e cosa e come lo si presenta e questo comporta un vulnus sostanziale del concetto di verità. E poi, credo che sia davanti agli occhi di tutti, che le fotografie cercano la verità, ma se non bellezza, sicuramente armonia, equilibrio di forme, piacevolezza visiva.
Un esempio lampante lo troviamo in "dies irae" di Paolo Pellegrin, in cui questo contrasto appare con con evidenza assoluta.
Ciao,
Luca
cliqueur
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Come lettura serale mi sto infliggendo il famoso volumetto.
Ci sono degli spunti interessanti, credo da una studiosa che conosce la fotografia, ma non il processo fotografico. E' buffo, perché cita John Szarkowski, il mitico direttore del dipartimento di fotografia del MoMA di New York che fa riferimento ad "un fotografo" che punta direttamente al soggetto banale. Ma non lo cita. E' William Eggleston.

C'è poi una interessante riflessione, che devo però ancora capire meglio, sulla vera possibilità di un linguaggio critico dedicato alla fotografia. Mi sembra che la conclusione prima o poi sarà l'impossibilità di trovare un sistema di riferimento per criticare una fotografia.
Per parafrasare Josef Beuys che diceva "tutti sono artisti": tutti sono fotografi.

Basta esserne convinti.

Ma raccontare per immagini mi sembra sia tutta un'altra storia.

Ciao,
Luca
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