Ecco una traduzione da un articolo apparso alcuni anni fa sulla rivista francese "Response Photo", proprio sulle pellicole B/N cromogeniche.
LE PELLICOLE BIANCONERO CROMOGENICHE
• LA STORIA:
Negli ultimi anni si è notevolmente accresciuta l’offerta di pellicole B/N cromogeniche, cioè quelle emulsioni che si sviluppano nel C41, vale a dire nei chimici che occorrono per sviluppare le pellicola negativa a colori. La tecnologia che è alla base del sistema esiste da più di vent’anni. A partire dal 1995, la moda del B/N è ritornata in Giappone, paese oramai sprovvisto di laboratori per il trattamento B/N classico. Questa situazione ha condotto i fabbricanti di pellicole a spingere sull’offerta di pellicole B/N cromogeniche, come la Konica VX 400. In altri paesi come Italia, Francia, Germania e Inghilterra, le pellicole B/N di questo tipo sono ancora scarsamente utilizzate. La tecnologia B/N cromogenica fu lanciata nel 1980 con la Ilford XP1-400, cui seguì poco oltre la Agfapan Vario XL Professional, ben presto sparita dal mercato. In quel periodo i telex che annunciavano le novità affermarono che era nato “il B/N senza argento”. Questa notizia trovò larga eco sui quotidiani economici, in anni di piena crisi speculativa che riguardava proprio l’argento. Vedremo, a proposito della struttura di tali pellicole, che le cose stanno, in realtà, diversamente. Sia nella pellicola Ilford che in quella Agfa, l’immagine negativa non era più costituita dall’argento, bensì da una miscela neutra di coloranti Giallo, Magenta e Ciano. I responsabili delle due case, all’epoca, John Doyl (Ilford) e Joachim Lohmann (Agfa) allo scopo di migliorare il rapporto tra sensibilità e granularità, vollero sfruttare i progressi ottenuti nel B/N relativamente all’uso dei copulanti inibitori DIR, già adoperati nelle negative a colori, unitamente ad una latitudine di posa particolarmente estesa. Molto simili, tecnicamente, le due diverse pellicole presentavano già tutte le caratteristiche insite nella tecnologia cromogenica: finezza di immagine e latitudine di posa elevata. Rispetto all’Agfapan Vario XL Professional, la Ilford XP1-400 era più contrastata e meno flessibile nell’uso. Entrambe le emulsioni erano di sensibilità nominale pari a 400 ISO. Mostravano una risoluzione vicina a quella offerta dalle tradizionali B/N da 100 ISO dell’epoca ed una granularità appena percettibile. L’Agfapan Vario XL Professional aveva tutte le doti per riuscire, tuttavia sparì presto dalla scena, al contrario della XP1-400, la quale iniziò una discreta carriera, tranne che in Gran Bretagna. Una pellicola con un successo appena discreto ed una, pur valida, abortita quasi subito… Il motivo di tale temporaneo rovescio fu oggetto di notevoli speculazioni. Di fatto, molti elementi favorirono questa situazione, anzitutto la scarsa propensione alla novità da parte degli amanti del B/N, attaccati alle tradizionali pellicole. Questa attitudine si ritroverà più avanti, al momento della comparsa delle pellicole B/N con tecnologia T-Grain, come le Kodak T-Max e le Ilford Delta. Inoltre, si supponeva che le pellicole B/N cromogeniche soffrissero di una scarsa conservabilità nel tempo, cui si aggiungevano le problematiche connesse al trattamento, assai difficoltoso da praticare in casa, e al tiraggio. In camera oscura, inoltre, tali pellicole davano problemi in sede di stampa. Per soprappiù, era problematico anche rivolgersi al laboratorio colore. All’epoca i minilab arano ancora inesistenti, vi erano forti sospetti di inquinamento dei bagni utilizzati, di disequilibrio nella rigenerazione delle curve di trattamento, oltre alle enormi difficoltà di filtratura, per poter ottenere stampe neutre, cioè non virate seppia, sulle carte da stampa a colori. Malgrado l’abbandono di Agfa, la Ilford tenne duro, continuando a credere nelle potenzialità del B/N cromogenico. La nuova versione della prima pellicola cromogenica della Ilford, la XP-2 400, aveva una sensibilità reale di 400 ISO, un contrasto finalmente normale, una finezza di immagine ancora migliorata ed una notevole flessibilità d’uso. Il tutto celato dalla più grande discrezione, in un periodo, la metà degli anni ’80, in cui la palma dell’innovazione nel B/N apparteneva alla Kodak con le sue famose T-Max caratterizzate dalla moderna tecnologia dei granuli d’argento di tipo tabulare (i famosi T Grain). Nel 1991, Ilford ha dato i natali alla terza generazione della sua nota pellicola cromogenica, denominandola sempre XP-2 ma unendola al suffisso Super, la quale ha beneficiato dell’apporto dei copulanti inibitori “Super DIR” i quali hanno ulteriormente migliorato la finezza dell’immagine. Gli eventi hanno subito un’accelerazione nel 1996. Dopo l’enorme successo riportato in Giappone dalla Konica con le sue “usa e getta” B/N classiche, la ditta nipponica iniziò una trattativa con la Ilford per poter usare la XP-2 400 Super, negoziati poi falliti. Quindi la Konica ha messo a punto una specifica pellicola cromogenica B/N, la VX Pan 400, inizialmente solo per le mono uso. Il successo in Giappone è stato travolgente. In seguito, la Konica ha aggiunto una maschera, allo scopo di facilitare la stampa nei minilabs, ed ha lanciato sul mercato un caricatore 24x36 denominato Konica Monochrome VX 400. Dal canto suo, al PMA del 1997, negli USA, Kodak ha presentato la sua prima pellicola B/N cromogenica, la T-Max T 400 CN, indirizzata ad un pubblico professionale. In questa pellicola della Casa Gialla è stata usata la tecnologia a grani tabulari T-Grain, che ha già fatto la fortuna delle pellicole B/N della serie T-Max. Sono seguite delle versioni amatoriali, sia in versione 24x36 (Black & White +400) sia nello sfortunato standard APS (Advantix Black & White +400). In risposta alla Kodak, nel 1998 Ilford ha introdotto la quarta generazione della sua storica pellicola, denominandola sempre XP-2 400 Super, cui è seguita, nel 2000, la Kodak Porta 400 BW, che ha preso il posto della professionale T-Max T 400 CN. L’ultima emulsione di questo tipo è stata presentata in Giappone, alla fine dell’estate del 2003, in pieno boom del digitale, da una casa, la Fujifilm, che pur essendo pienamente impegnata su fronte del silicio, non disdegna di certo l’analogico. Ha infatti realizzato e posto in commercio le pellicole per diapositive a colori Fujichrome Velvia 100 F e Astia 100 F e, appunto, la B/N cromogenica Neopan 400 CN. A dire il vero, è solo marcata Fuji perché in realtà è prodotta dalla Ilford (si tratta della notissima Ilford XP-2 400 Super).
• LA STRUTTURA:
Le emulsioni fotosensibili comportano dei sali di alogenuro d’argento simili a quelli delle comuni pellicole B/N. Essi sono sensibili a tutte le radiazioni dello spettro visibile. Dunque, si tratta di pellicole pancromatiche classiche caratterizzate, per converso, dalla presenza di copulanti cromatici, come nelle pellicole negative a colori. La differenza è che in ogni strato si ritrova una miscela di copulanti formata da Giallo, Magenta e Ciano. Durante lo sviluppo nel C-41 si assiste ad una reazione cromogenica classica. L’argento metallico fa da catalizzatore per la formazione dei coloranti. Dopo lo sviluppo, l’argento metallico si trasforma in sali complessi che saranno resi solubili nel fissaggio. Essi saranno poi eliminati nel lavaggio finale Una volta completato il trattamento, si ottiene un’immagine di colore neutro, formata da una miscela di coloranti Giallo, Magenta e Ciano. La struttura tipo delle pellicole B/N cromogeniche prevede due superfici di protezione anti UV e anti graffio, tra le quali sono sistemati tre strati pancromatici di differente sensibilità, allo scopo di sfruttare meglio l’energia luminosa durante l’esposizione. Infine, c’è uno strato anti Halo.
• LA STAMPA:
Nella camera oscura tradizionale, l’uso migliore che si può fare delle pellicole B/N cromogeniche è quello di stamparle su carta B/N a contrasto variabile, come apparve evidente sin dal loro apparire, nel 1980. L’uso di stampare le pellicole B/N cromogeniche su carta a colori si è diffuso solo in seguito. Tale pratica comportava però dei problemi notevoli, in merito alle enormi difficoltà di filtratura per l’ottenimento di toni neutri su carta colore. Di solito, se ne ricavavano immagini tendenti, in maniera più o meno evidente, al seppia. In seguito, con l’uscita della Ilford XP-2 400 Super, la casa ha parlato della stampa su carta a colori solo come di una possibilità per ottenere dei provini di stampa, in vista dell’ottenimento di comuni ingrandimenti in camera oscura, su carta B/N, magari a contrasto variabile. In seguito, con la comparsa, nel 1996, della Konica VX 400, la casa giapponese ha adottato una soluzione radicale, dotando la sua pellicola di una maschera che esalta l’ottenimento di un tono seppia di gusto retrò, spingendo per effettuare l’intero ciclo di trattamento nei minilabs, su carta a colori. In questo modo si aggira il problema della difficoltà di ottenimento di toni neutri stampando su carta a colori anche se, per contro, ci si vincola esclusivamente all’ottenimento di toni seppia. La Kodak ha cercato di risolvere il problema alla radice presentando la Portra 400 BW, che è tarata espressamente per i canali di stampa adottati per le pellicole Portra a colori. In realtà, i toni seppia non vengono eliminati ma semplicemente attenuati, anche se si tratta, indubbiamente, di un bel passo in avanti. Per quanto riguarda la conservabilità nel tempo delle negative ricavate da pellicole B/N cromogeniche, rispetto alle classiche pellicole pancromatiche, non ci sono problemi di sorta, specie nel caso di stampa effettuata su carta B/N classica. Nel caso della stampa su carta B/N tradizionale (baritata o politenata, a contrasto fisso o variabile) le pellicole B/N cromogeniche risultano più difficili, più problematiche perché, rispetto alle comuni pellicole B/N pancromatiche a struttura tradizionale, mostrano una densità variabile in ragione delle lunghezze d’onda dei colori Giallo, Magenta e Ciano. Invece, nelle classiche pellicole pancromatiche B/N, la densità è molto più costante. Viceversa, la stampa delle cromogeniche su carta a colori richiede una notevole dose di abilità nello stampatore, per quanto concerne la determinazione della corretta filtratura. Se, viceversa, ci si accontenta della dominante seppia, le cose sono molto più semplici. Stampando le pellicole B/N cromogeniche su carta B/N a gradazione fissa non sorgono problemi, in nessuna caso. Adoperando, viceversa, le pellicole B/N cromogeniche di vecchia concezione con carta da stampa B/N a contrasto variabile, possono sorgere problemi legati a rese un po’ strane adottando gradazioni medie. Nessun problema si ha con le pellicole B/N cromogeniche moderne.
• LA PRATICA SUL CAMPO:
Tutte le pellicole B/N cromogeniche dichiarano una sensibilità di 400 ISO ma, nella realtà, essa varia dai 500 ai 600 ISO, a seconda della marca. Questo guadagno in termini di sensibilità, latitudine di posa e reciprocità conferisce a tali pellicole una grande flessibilità d’uso. Nell’uso pratico non si segnala alcun problema particolare. Le pellicole B/N cromogeniche di Kodak, rispetto a quelle della concorrenza, sembrano richiedere meno l’utilizzo dei comuni filtri colorati di contrasto, tipici del B/N. Tutte, indistintamente, si sviluppano nel classico sviluppo delle pellicole negative a colori (C-41). Quali sono le ragioni per adoperare le pellicole B/N cromogeniche? Le ragioni sono essenzialmente due: tali pellicole si distinguono da quelle tradizionali per il loro potere risolvente, che varia dalle 140 alle 150 L/mm, analogamente a quanto avviene con le pellicole B/N classiche, normali o T-Grain da 100 ISO mentre il potere risolvente delle migliori pellicole B/N classiche, normali o T-Grain da 400 ISO si attesta su valori compresi tra le 100 e le 120 L/mm. Inoltre, le pellicole B/N cromogeniche si caratterizzano per la quasi totale assenza di grana. Pellicole come la Ilford XP-2 400 Super o la Kodak Portra 400 BW hanno una finezza di grana superiore del 30% rispetto alle Ilford Delta 100 e alle Kodak T-Max 100 (entrambe con tecnologia a grani tabulari). Paradossalmente, proprio tale estrema finezza di grana frena molti fotoamatori, i quali preferiscono le ultra classiche Kodak Tri-X Pan 400 o Ilford HP5 400 proprio per la loro grana evidente. Questo spiega perché siano state accolte freddamente anche le pellicole B/N classiche con tecnologia a granuli piatti (T-Grain per le Kodak T-Max e Core Shell per le Ilford Delta). Con le B/N cromogeniche va pure peggio… Come mai? Dipende dall’acutanza che è minore nelle pellicole che dispongono della grana più fine. Infatti l’acutanza, altresì della “effetto bordo”, è inversamente proporzionale alla finezza di grana.
• PRO:
Chi usa le pellicole B/N cromogeniche lo fa per velocizzare le operazioni di sviluppo e stampa (ammesso che si rivolga al minilab anche per la restituzione delle stampe). Di solito, le stampe fatte al minilab vengono utilizzate come provini per scegliere gli ingrandimenti da effettuare in seguito, in camera oscura. Nelle pellicole cromogeniche di punta si apprezza l’assenza di grana e l’enorme potere risolvente. Occorre, però, effettuare le riprese e le stampe adoperando le migliori ottiche possibili e una carta da stampa piuttosto contrastata. Questo serve a recuperare immagini che, usando pellicole B/N cromogeniche, risultano un po’ fiacche.
• CONTRO:
A priori, le pellicole B/N cromogeniche hanno tutto per piacere. Basso costo, sviluppo rapido con chimici colore C-41 nel minilab sotto casa, finezza di grana insuperabile ed elevato potere risolvente. Ma, paradossalmente, le pellicole B/N cromogeniche peccano proprio per queste caratteristiche… In effetti, anche se molti laboratori prestano attenzione al loro lavoro e ai loro macchinari, sovente i negativi vengono restituiti graffiati o macchiati o incrostati di polvere. Niente è più frustrante che il non poter stampare un negativo per questi motivi. La finezza di grana, pur esaltando la resa superficiale dei soggetti, va a detrimento dell’acutanza. Le pellicole B/N tradizionali a grana fine hanno una struttura precisa e ben modulata, con un contrasto ai bordi (effetto bordo o acutanza) ben delineato. Invece, le pellicole B/N cromogeniche, viste attraverso il focometro mostrano una struttura informe. E’ quindi ben difficile ricavare immagini nitide da tali pellicole. Del resto, sia la nitidezza che l’acutanza sono, notoriamente, favorite dalla presenza di un po’ di grana. Infatti, nel B/N tradizionale i rivelatori cosiddetti finegranulanti eliminano la grana sciogliendo i granuli d’argento metallico e ciò finisce per andare a scapito della nitidezza e dell’acutanza. Con le pellicole B/N cromogeniche, allora, per recuperare un po’ di acutanza e nitidezza, non resta altro da fare che ricorrere a carte da stampa B/N più contrastate. Se per stampare una pellicola B/N tradizionale (normale o T-Grain) occorre una carta di gradazione 3, con una pellicole B/N cromogenica occorre usarne una di gradazione 5.
• PELLICOLE B/N CROMOGENICHE, SENSIBILITA’, LATITUDINE DI POSA E CORREZIONE DEL DIFETTO DI RECIPOROCITA’:
o ILFORD XP-2 400 SUPER:
500 ISO ; -1/+3 ; 1/10.000” – 1/2”.
o KODAK T 400 CN:
640 ISO ; -1,5/+3 ; 1/10.000” – 120”.
o KODAK PORTA 400 BW:
640 ISO ; -1,5/+3 ; 1/10.000” – 120”.
o FUJI NEOPAN 400 CN:
500 ISO ; -1/+3 ; 1/10.000” – 1/2”.
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Ciao.
Vincenzo
"Un centesimo di secondo di qua, un centesimo di secondo di là, messi uno dietro l'altro non faranno mai più di uno, due, tre secondi rubati all'eternità" Robert Doisneau
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- marco palomar
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grazie, interessantissimo! Me lo salvo!
ma guarda un po'