Meglio un capolavoro fatto per se stessi ovviamente considerato capolavoro solo da se stessi.marco palomar ha scritto:Quello che ho capito della fotografia?
Meglio una cagata fatta per se stessi che un capolavoro fatto per non si sa chi.
Quello che abbiamo capito della fotografia
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Riccardo
riccardox.2@libero.it
I work by impulse. No philosophy. No ideas. Not by the head but by the eyes.
Instinct is the same as inspiration.
Manuel Alvarez Bravo
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Ciao Marco,marco palomar ha scritto:Quello che ho capito della fotografia?
Meglio una cagata fatta per se stessi che un capolavoro fatto per non si sa chi.
di certo possiamo discutere sul significato dei termini, ma non posso non condividere il tuo pragmatismo.
Cari saluti.
nik
No, non sono d'accordo. Faccio una fatica terribile ad arginare il torrente di c@9@te a cui sono continuamente esposto, considerate "capolavori" da sedicenti "artisti" che si dimenticano che in fondo "ogni scarrafone è bell' a mamma soie". Soprattutto se è evidente che non c'è dietro alcun percorso creativo.marco palomar ha scritto:Quello che ho capito della fotografia?
Meglio una cagata fatta per se stessi che un capolavoro fatto per non si sa chi.
Non credo fosse questo il senso. Credo comunque sia difficile prescindere dal considerare il fruitore, nel definire un'opera un capolavoro o... meno.Luca A Remotti ha scritto:No, non sono d'accordo. Faccio una fatica terribile ad arginare il torrente di c@9@te a cui sono continuamente esposto, considerate "capolavori" da sedicenti "artisti" che si dimenticano che in fondo "ogni scarrafone è bell' a mamma soie". Soprattutto se è evidente che non c'è dietro alcun percorso creativo.marco palomar ha scritto:Quello che ho capito della fotografia?
Meglio una cagata fatta per se stessi che un capolavoro fatto per non si sa chi.
Saluti
Non so se ho capito, ma sono d'accordo sul fatto che non sia completamente prescindibile il fruitore.solimano ha scritto:Non credo fosse questo il senso. Credo comunque sia difficile prescindere dal considerare il fruitore, nel definire un'opera un capolavoro o... meno.Saluti
Io so quanto sia difficile tirare fuori una fotografia decente, figuriamoci una serie decente. Eppure proseguo in maniera compulsiva.
Non arrivo ai tre rulli di TriX al giorno di Garry Winogrand, ma temo che se non fossi normalmente in tutt'altre faccende affaccendato mi ci avvicinerei.
Per quanto mi riguarda fotografare è una continua sfida al fallimento.
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E' più probabile che la fotografia abbia capito qualcosa di me
http://www.facebook.com/marco.esse.39
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perché ormai ti ci vorrebbe più tempo a reperire il materiale che ad esporlo alla luceLuca A Remotti ha scritto:Non arrivo ai tre rulli di TriX al giorno di Garry Winogrand ...
E' il pubblico che ti crea artista, nel senso che ti riconosce. Senza pubblico l' arte non esiste. L' arte diventa arte quando qualcuno (finalmente) dice: questa è arte. Quindi senza pubblico non esistono gli artisti. Con buona pace di chi "fa arte per sé". Ma anche: se il pubblico ti crea artista, agli altri non resta che accettare. E' la fluidità della materia, il fatto che dietro un cagata a volte ti specchi tu, qualche volta io, qualche altra volta altri che la rende irresistibile. Perché? perché siamo diversi. L'arte è un punto di vista: sarà mai che i punti di vista siano uguali? sì: presso i falsi artisti, presso i manieristi senza idee, ma soprattutto senza coraggio.
mmmm ... devo avere mangiato troppi biscotti, stasera
- carlo riggi
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Mi chiedo cosa sostenga il mio bisogno di fotografare.
Credo sia un'esigenza di narrazione, la stessa che mi spinge a scrivere adesso su questo forum.
Desideriamo narrare ciò che abbiamo visto, ma più spesso, anche quando non ce ne rendiamo conto, siamo mossi dalla necessità di condividere un mistero, una stranezza, un buco nero, qualcosa che silenziosamente ma incisivamente ci interroga.
Alla fine, la valenza narrativa che governa il fotografare è praticamente capovolta: noi mostriamo agli altri affinché essi, attraverso le loro emozioni, ci raccontino quel che ci sembra di aver scorto, che abbiamo fissato con la nostra fotocamera, ma di cui non sappiamo nulla, neppure se lo abbiamo visto davvero.
Un riconoscimento senza conoscenza...
La sensibilità autoriale consiste primariamente nel riuscire a non sfuggire a questi stimoli amodali. Senza perderli o lasciarli scivolare come spesso facciamo con tante cose della vita.
Saper fotografare è quindi saper vivere, respirare ogni attimo, godere e soffrire intensamente senza sfuggire le emozioni legate all'implacabile acume dello sguardo.
Raccoglierle e organizzarle in attesa che qualcuno ce le racconti attraverso i propri occhi.
Mostrare le proprie foto è come la richiesta che il bambino a fine giornata fa alla mamma di raccontargli la sua favola prima di chiudere gli occhi.
Credo sia un'esigenza di narrazione, la stessa che mi spinge a scrivere adesso su questo forum.
Desideriamo narrare ciò che abbiamo visto, ma più spesso, anche quando non ce ne rendiamo conto, siamo mossi dalla necessità di condividere un mistero, una stranezza, un buco nero, qualcosa che silenziosamente ma incisivamente ci interroga.
Alla fine, la valenza narrativa che governa il fotografare è praticamente capovolta: noi mostriamo agli altri affinché essi, attraverso le loro emozioni, ci raccontino quel che ci sembra di aver scorto, che abbiamo fissato con la nostra fotocamera, ma di cui non sappiamo nulla, neppure se lo abbiamo visto davvero.
Un riconoscimento senza conoscenza...
La sensibilità autoriale consiste primariamente nel riuscire a non sfuggire a questi stimoli amodali. Senza perderli o lasciarli scivolare come spesso facciamo con tante cose della vita.
Saper fotografare è quindi saper vivere, respirare ogni attimo, godere e soffrire intensamente senza sfuggire le emozioni legate all'implacabile acume dello sguardo.
Raccoglierle e organizzarle in attesa che qualcuno ce le racconti attraverso i propri occhi.
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Ciao
Carlo
Carlo
Bellissima. Grazie...carlo riggi ha scritto:Mi chiedo cosa sostenga il mio bisogno di fotografare.
Credo sia un'esigenza di narrazione, la stessa che mi spinge a scrivere adesso su questo forum.
Desideriamo narrare ciò che abbiamo visto, ma più spesso, anche quando non ce ne rendiamo conto, siamo mossi dalla necessità di condividere un mistero, una stranezza, un buco nero, qualcosa che silenziosamente ma incisivamente ci interroga.
Alla fine, la valenza narrativa che governa il fotografare è praticamente capovolta: noi mostriamo agli altri affinché essi, attraverso le loro emozioni, ci raccontino quel che ci sembra di aver scorto, che abbiamo fissato con la nostra fotocamera, ma di cui non sappiamo nulla, neppure se lo abbiamo visto davvero.
Un riconoscimento senza conoscenza...
La sensibilità autoriale consiste primariamente nel riuscire a non sfuggire a questi stimoli amodali. Senza perderli o lasciarli scivolare come spesso facciamo con tante cose della vita.
Saper fotografare è quindi saper vivere, respirare ogni attimo, godere e soffrire
intensamente senza sfuggire le emozioni legate all'implacabile acume dello sguardo.
Raccoglierle e organizzarle in attesa che qualcuno ce le racconti attraverso i propri occhi.
Mostrare le proprie foto è come la richiesta che il bambino a fine giornata fa alla mamma di raccontargli la sua favola prima di chiudere gli occhi.
Maurizio Cassese.
- carlo riggi
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Grazie a voi.
Ciao
Carlo
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Personalmente condivido solo finché parli in prima persona. Perché non tutti i modi di usare
la macchina fotografica si rispecchiano in questo, di modo (che a titolo personale trovo calzante).
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- carlo riggi
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Caro Mario, la mia è una lettura di dinamiche non necessariamente consapevoli. Può darsi che sia sbagliata, ma non è sufficiente che qualcuno in apparenza non vi si riconosca per dirlo.
Penso invece che questa motivazione non sia l'unica, questo sì. Anche per me non lo è.
Penso invece che questa motivazione non sia l'unica, questo sì. Anche per me non lo è.
Ciao
Carlo
Carlo
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- Iscritto il: ven nov 05, 2010 6:12 pm
Diciamo la stessa cosa. Forse non era chiaro.
Non penso sia una novità, ma aggiungo che anche noi ci scopriamo (raccontiamo) a noi stessi se siamo sufficientemente liberi.
La macchina fotografica non è del tutto trasparente rispetto all' atto fotografico e il gesto stesso può essere molto istintivo, non premeditato.
Non penso sia una novità, ma aggiungo che anche noi ci scopriamo (raccontiamo) a noi stessi se siamo sufficientemente liberi.
La macchina fotografica non è del tutto trasparente rispetto all' atto fotografico e il gesto stesso può essere molto istintivo, non premeditato.