Non li ho fotografati

Sezione Principale - Fotografie e Passioni

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Condor
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Stimolato da Don Carlo Riggi, ho promesso di rifarmi vivo più spesso, anche se non ho mai smesso di leggervi, e così inizio a spigrirmi proponendovi una riflessione sui nostri soggetti fotografici, interessato anche al vostro contributo.

http://www.stefanomartellucci.com/2015/ ... tografati/

Ciao :)
Ultima modifica di Condor il gio ago 27, 2015 9:51 am, modificato 1 volta in totale.
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carlo riggi
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Stefano, spigrisciti ancora un po' (mi piace questo verbo :) ) e passaci una pw o un altro link per accedere al tuo sito.
Ciao
Carlo
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Condor
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carlo riggi ha scritto:Stefano, spigrisciti ancora un po' (mi piace questo verbo :) ) e passaci una pw o un altro link per accedere al tuo sito.
ops.. corretto il link :lol:
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carlo riggi
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Letto e apprezzato.
Non si può non essere d'accordo con te, il "falso sé" fotografico che si impossessa di noi, per il solo fatto di avere una fotocamera al collo, ci porta a scimmiottare i reporter e a immaginare di non potere sottrarci al "dovere" di fotografare il dolore altrui.
Ma... e se fosse il dolore nostro quello che in realtà siamo spinti a fotografare in quelle situazioni?
Tu dici, giustamente, che non sei un giornalista che debba vendere un reportage. Così facendo, però, ammetti implicitamente che il lavoro, e il ritorno economico correlato, possono giustificare quelle fotografie, più di quanto possa fare la nostra voglia "fotoamatoriale" di scrutare le pieghe del mondo.
Io dico che un atteggiamento rapinoso e intrusivo, lesivo della dignità e dei sentimenti delle persone, non sia giustificabile in nessun caso: neppure per il giornalista che aspiri al Pulitzer.
Occorre comunque rispetto. Degli altri ... e di se stessi. Ed è questo il punto: scimmiottare i reporter è ridicolo, lesivo dunque della nostra stessa dignità. Un gioco stupido, una mistificazione, l'idea di affrontare il dolore senza esserne pronti, spesso in modo superficiale, talvolta in modo pericoloso (senza neppure l'assetto professionale a ripararti).
Ma da fotoamatore io rivendico il diritto di "vedere", come quello di "non vedere" (bello il tuo gesto di coprire la fotocamera in segno di rispetto). Occorre pudore verso il dolore altrui. Io salto sistematicamente i dettagli della cronaca nera nei giornali, mi limito a leggere i titoli e i commenti, quando ci sono.
A volte però, se fatto con garbo, con rispetto, con "com-passione", fotografare un "infelice" può essere un modo di pensare alla sua condizione e, relativamente, condividerla. Almeno quanto fotografare la bellezza è condividerne quota parte.
In entrambi i casi, sarà poi l'uso che si farà di quella fotografia a stabilire il discrimine. Posso esibire il viso di una bella ragazza e un corpo mutilato come trofei di caccia, frutto di una qualche azione ardimentosa, oppure posso proporla, a chi può capire, come frammento di esperienza del mondo e di noi stessi. Oppure non pubblicarla mai, e tenerla in quell'archivio intimo dove le nostre immagini si fanno emozione privata, che abbiamo il compito di custodire in solitudine.
Ciao
Carlo
cliqueur
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Letto. D'accordo in linea di massima sull'approccio, ma penso che si possa fotografare tutto, dipende da come. Ci sono già buoni spunti in di-lemmi.
E se riesco a finire il mio pezzo sul fotoreportage - in gestazione - ne parlerò di più.
Ciao,
Luca
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Condor
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Luca A Remotti ha scritto:Letto. D'accordo in linea di massima sull'approccio, ma penso che si possa fotografare tutto, dipende da come. Ci sono già buoni spunti in di-lemmi.
E se riesco a finire il mio pezzo sul fotoreportage - in gestazione - ne parlerò di più.
Ciao,
Luca
Si il come è fondamentale, il mio era un chiaro riferimento alle classiche foto amatoriali di questi disperati.

Ciao e grazie per il passaggio
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Condor
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carlo riggi ha scritto:Letto e apprezzato.
Non si può non essere d'accordo con te, il "falso sé" fotografico che si impossessa di noi, per il solo fatto di avere una fotocamera al collo, ci porta a scimmiottare i reporter e a immaginare di non potere sottrarci al "dovere" di fotografare il dolore altrui.
Ma... e se fosse il dolore nostro quello che in realtà siamo spinti a fotografare in quelle situazioni?
Tu dici, giustamente, che non sei un giornalista che debba vendere un reportage. Così facendo, però, ammetti implicitamente che il lavoro, e il ritorno economico correlato, possono giustificare quelle fotografie, più di quanto possa fare la nostra voglia "fotoamatoriale" di scrutare le pieghe del mondo.
Io dico che un atteggiamento rapinoso e intrusivo, lesivo della dignità e dei sentimenti delle persone, non sia giustificabile in nessun caso: neppure per il giornalista che aspiri al Pulitzer.
Occorre comunque rispetto. Degli altri ... e di se stessi. Ed è questo il punto: scimmiottare i reporter è ridicolo, lesivo dunque della nostra stessa dignità. Un gioco stupido, una mistificazione, l'idea di affrontare il dolore senza esserne pronti, spesso in modo superficiale, talvolta in modo pericoloso (senza neppure l'assetto professionale a ripararti).
Ma da fotoamatore io rivendico il diritto di "vedere", come quello di "non vedere" (bello il tuo gesto di coprire la fotocamera in segno di rispetto). Occorre pudore verso il dolore altrui. Io salto sistematicamente i dettagli della cronaca nera nei giornali, mi limito a leggere i titoli e i commenti, quando ci sono.
A volte però, se fatto con garbo, con rispetto, con "com-passione", fotografare un "infelice" può essere un modo di pensare alla sua condizione e, relativamente, condividerla. Almeno quanto fotografare la bellezza è condividerne quota parte.
In entrambi i casi, sarà poi l'uso che si farà di quella fotografia a stabilire il discrimine. Posso esibire il viso di una bella ragazza e un corpo mutilato come trofei di caccia, frutto di una qualche azione ardimentosa, oppure posso proporla, a chi può capire, come frammento di esperienza del mondo e di noi stessi. Oppure non pubblicarla mai, e tenerla in quell'archivio intimo dove le nostre immagini si fanno emozione privata, che abbiamo il compito di custodire in solitudine.

Aggiungo che il "come", come detto giustamente da Luca, è fondamentale. Io credo che in questi casi ci sia molto dell'effetto televisione che ci ha abituati ad ogni tipo di immagine anastetizzando la pietà e la compassione, sentimenti che si vivono in solitudine con se stessi.

Ciao e grazie per il passaggio e le riflessioni
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massimostefani
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Condor ha scritto:
Luca A Remotti ha scritto:Letto. D'accordo in linea di massima sull'approccio, ma penso che si possa fotografare tutto, dipende da come. Ci sono già buoni spunti in di-lemmi.
E se riesco a finire il mio pezzo sul fotoreportage - in gestazione - ne parlerò di più.
Ciao,
Luca
Si il come è fondamentale, il mio era un chiaro riferimento alle classiche foto amatoriali di questi disperati.

Ciao e grazie per il passaggio
Attribuendomi la qualifica di " profondo conoscitore del mondo fotoamatoriale " mi permetto di confermare : il male esiste !!! Non esageriamo si potrebbe pensare !! Ma il " male " risibile, ovviamente, se paragonato ad altri mali, consiste esattamente nel sentirsi EROI ..( da circolo.. ) proponendo immagini di disperati, come se questo, anzichè un perfetto still life od un paesaggio, garantisse una patente di fotografo serie A.

Un certo A.Stieglitz affermava , agli inizi del 1900 : " i poveri sono straordinariamente fotogenici " C'è da chiedersi a distanza di 115 anni se lo siano ancora; o meglio se abbia ancora un senso continuare a cercare il barbone ( oggi è più difficile NON trovarli che il contrario ) da esibire come fenomeno da baraccone, al circolo oppure ad un concorso.

Abbiamo avuto anche in questa sede non poche ( false ) esibizioni di " coraggio " e ( falsissime ) dichiarazioni di compartecipazione...davanti al dolore degli altri... ( cit da un bel saggio della Sontag che di certo avrete letto ) che nulla hanno prodotto se non una breve quanto vacua autocelebrazione. Per contro però abbiamo avuto anche un Nicola Spadafranca che, dopo essersi faticosamente fatto accettare sul territorio, qualcosa ha prodotto, un bel libro che ci parla della difficile condizione nella quale sono costretti a lavorare ecc...ecc...ma certo lo conoscerete, quindi non mi dilungo.

Un lavoro di questo tipo può avere, anzi ha, un senso ed un valore, l'esibizione del pezzente in quanto tale no. Ferma restando ( come afferma il Riggi ) l'assoluta libertà individuale, sul dove e sul come puntare l'obiettivo .

MS
tutte le fotografie sono reali,nessuna è la verità.
R.Avedon
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Non posso che essere d'accordo con quanto scritto. Sono sbarcato recentemente al porto di Genova e la nave è passata accanto alla Costa Concordia. Tutti i viaggiatori con i loro congegni per catturare immagini si sono precipitati sul lato della nave lungo cui sfilava il relitto a fotografare e a mandare immagini ad amici lontani per renderli partecipi del "io l'ho vista", come se questo in qualche modo li rendesse piccoli protagonisti di una tragedia immane (perchè immane è stata la stupidità che l'ha generata).
Ho provato un fastidio enorme, epidermico, di questo atteggiamento diffuso, domandandomi se gli altri vedessero quello che vedevo io, oppure fosse semplicemente un problema di diversa sensibilità.
Per me quella nave era un simbolo di morte e non un oggetto da mostrare con un certo orgoglio, o più probabilmente con un voyeurismo di bassissima lega, cui peraltro i media ci hanno ormai assuefatto.
Non riesco più a vedere immagini di dolore, mi fanno stare male, mi fanno provare fastidio o dolore, perché offendono la dignità, la mia e soprattutto quella di chi viene ritratto o anche semplicemente osservato, più spesso mostrato senza alcuna empatia.
un saluto

Guseppe
giuseppe
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