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Ciao

Moderatori: NatRiscica, maucas, simone toson, luca rubbi
ops.. corretto il linkcarlo riggi ha scritto:Stefano, spigrisciti ancora un po' (mi piace questo verbo) e passaci una pw o un altro link per accedere al tuo sito.
Si il come è fondamentale, il mio era un chiaro riferimento alle classiche foto amatoriali di questi disperati.Luca A Remotti ha scritto:Letto. D'accordo in linea di massima sull'approccio, ma penso che si possa fotografare tutto, dipende da come. Ci sono già buoni spunti in di-lemmi.
E se riesco a finire il mio pezzo sul fotoreportage - in gestazione - ne parlerò di più.
Ciao,
Luca
carlo riggi ha scritto:Letto e apprezzato.
Non si può non essere d'accordo con te, il "falso sé" fotografico che si impossessa di noi, per il solo fatto di avere una fotocamera al collo, ci porta a scimmiottare i reporter e a immaginare di non potere sottrarci al "dovere" di fotografare il dolore altrui.
Ma... e se fosse il dolore nostro quello che in realtà siamo spinti a fotografare in quelle situazioni?
Tu dici, giustamente, che non sei un giornalista che debba vendere un reportage. Così facendo, però, ammetti implicitamente che il lavoro, e il ritorno economico correlato, possono giustificare quelle fotografie, più di quanto possa fare la nostra voglia "fotoamatoriale" di scrutare le pieghe del mondo.
Io dico che un atteggiamento rapinoso e intrusivo, lesivo della dignità e dei sentimenti delle persone, non sia giustificabile in nessun caso: neppure per il giornalista che aspiri al Pulitzer.
Occorre comunque rispetto. Degli altri ... e di se stessi. Ed è questo il punto: scimmiottare i reporter è ridicolo, lesivo dunque della nostra stessa dignità. Un gioco stupido, una mistificazione, l'idea di affrontare il dolore senza esserne pronti, spesso in modo superficiale, talvolta in modo pericoloso (senza neppure l'assetto professionale a ripararti).
Ma da fotoamatore io rivendico il diritto di "vedere", come quello di "non vedere" (bello il tuo gesto di coprire la fotocamera in segno di rispetto). Occorre pudore verso il dolore altrui. Io salto sistematicamente i dettagli della cronaca nera nei giornali, mi limito a leggere i titoli e i commenti, quando ci sono.
A volte però, se fatto con garbo, con rispetto, con "com-passione", fotografare un "infelice" può essere un modo di pensare alla sua condizione e, relativamente, condividerla. Almeno quanto fotografare la bellezza è condividerne quota parte.
In entrambi i casi, sarà poi l'uso che si farà di quella fotografia a stabilire il discrimine. Posso esibire il viso di una bella ragazza e un corpo mutilato come trofei di caccia, frutto di una qualche azione ardimentosa, oppure posso proporla, a chi può capire, come frammento di esperienza del mondo e di noi stessi. Oppure non pubblicarla mai, e tenerla in quell'archivio intimo dove le nostre immagini si fanno emozione privata, che abbiamo il compito di custodire in solitudine.
Attribuendomi la qualifica di " profondo conoscitore del mondo fotoamatoriale " mi permetto di confermare : il male esiste !!! Non esageriamo si potrebbe pensare !! Ma il " male " risibile, ovviamente, se paragonato ad altri mali, consiste esattamente nel sentirsi EROI ..( da circolo.. ) proponendo immagini di disperati, come se questo, anzichè un perfetto still life od un paesaggio, garantisse una patente di fotografo serie A.Condor ha scritto:Si il come è fondamentale, il mio era un chiaro riferimento alle classiche foto amatoriali di questi disperati.Luca A Remotti ha scritto:Letto. D'accordo in linea di massima sull'approccio, ma penso che si possa fotografare tutto, dipende da come. Ci sono già buoni spunti in di-lemmi.
E se riesco a finire il mio pezzo sul fotoreportage - in gestazione - ne parlerò di più.
Ciao,
Luca
Ciao e grazie per il passaggio