La fotografia è “altro”

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cliqueur
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abschied ha scritto:Va però detto che con quasi tutte le macchine digitali il colore viene imposto
Come avrò scritto da qualche parte, io con il bianconero da file DNG non mi trovo - forse perché non sono capace - e quindi uso e sviluppo da me pellicole (di solito ILFORD Delta 400). Quando l'ho in macchina il mio cervello ed il mio occhio lo "sanno" istintivamente. Certo, una Leica Monochrom potrebbe essere un'idea, ... la mia categoria professionale lo definisce come "opportunity cost".
abschied ha scritto:"Non è necessario" e "Nella maggioranza dei casi" non sono locuzioni esclusive perché appaiono in frasi diverse
Piccolo errore di comunicazione da parte mia: rispetto alle locuzioni non è una mutua esclusività, ma esclusive di opzioni specifiche differenti.

;-)
cliqueur
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Propongo una fotografia che deve essere in bianco e nero ed una che deve essere a colori.
Di una solida fotografa tedesca-americana che ha scattato da dopo la guerra fino agli anni 80-90: Evelyn Hofer.
Il critico d'arte del NYT Hilton Kramer la definì "la più sconosciuta fotografa famosa d'America".

Questa deve essere monocromatica:
Immagine

Questa non può non essere policroma:
Immagine

Deve essere così, ho provato a visualizzarle policrome e monocromatiche: la prima in pietra marrone tipica di Manhattan: i giochi di luci ed ombre non sarebbero gli stessi, la seconda sarebbe piatta.

Direi che non c'è nessuna regola, ma entrambi i linguaggi hanno dignità documentaria autonoma.
abschied
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Per quanto accattivanti fossero le Kodachome (a me è capitato di usarle ed anche con piacere), mi permetto di dissentire. Dovendo scegliere io una fotografia dove le accattivanti tonalità della Kodachome hanno una loro giustificazione documentaria, proporrei piuttosto questa bella immagine di Chalmers Butterfield. Io invece non vedo niente di piatto in questa conversione, anche se non perfetta, della fotografia scelta da te. Al contrario, essa mi sembra il classico esempio di immagine nella quale gli elementi compositivi sono messi maggiormente in risalto quando si prescinde dal colore.

Immagine
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Hilton Kramer (bw).jpg
Paolo Viviani
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cliqueur
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We may agree to disagree.

Il venditore di hot dog monocromatico è proprio come l’avevo visualizzato. Se il personaggio in qualche modo mantiene la sua espressività, si perdono tutti i suoi paraphernalia. Direi che il colore fa ordine nella fotografia della Hofer ed anche nella fotografia di Butterfield.

Va bene così.

Potremmo parlare di cosa fanno le emulsioni, ... ed anche gli algoritmi dei processori di immagini rilevate dai sensori, ma forse no.
abschied
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Caro Luca, è piacevole poter discutere e magari non trovarsi d'accordo senza azzufarsi. Il fatto di offrire questa possibilità era il punto di forza di questo gruppo al tempo del suo massimo fulgore. Speriamo di riuscire a rivitalizzarlo.
Paolo

PS: purtroppo io di emulsioni e di algoritmi non ne capisco un cavolo. Dovremo trovare qualcos'altro...
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simone toson
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cliqueur ha scritto:We may agree to disagree.

Il venditore di hot dog monocromatico è proprio come l’avevo visualizzato. Se il personaggio in qualche modo mantiene la sua espressività, si perdono tutti i suoi paraphernalia. Direi che il colore fa ordine nella fotografia della Hofer ed anche nella fotografia di Butterfield.

Va bene così.

Potremmo parlare di cosa fanno le emulsioni, ... ed anche gli algoritmi dei processori di immagini rilevate dai sensori, ma forse no.
Buttarla sul colore/bianco e nero mi sembra un tantino riduttivo per un post che si intitola "la fotografia è altro".
Ma che sono i paraphernalia? :-)
abschied
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simone toson ha scritto:
cliqueur ha scritto:We may agree to disagree.

Il venditore di hot dog monocromatico è proprio come l’avevo visualizzato. Se il personaggio in qualche modo mantiene la sua espressività, si perdono tutti i suoi paraphernalia. Direi che il colore fa ordine nella fotografia della Hofer ed anche nella fotografia di Butterfield.

Va bene così.

Potremmo parlare di cosa fanno le emulsioni, ... ed anche gli algoritmi dei processori di immagini rilevate dai sensori, ma forse no.
Buttarla sul colore/bianco e nero mi sembra un tantino riduttivo per un post che si intitola "la fotografia è altro".
Ma che sono i paraphernalia? :-)
Hai ragione, ma a volte le discussioni finiscono per focalizzarsi su un aspetto particolare. Nulla impedisce però di riportarle su binari più generali. I paraphernalia sono gli elementi accessori; in questo caso, i festoni colorati e le cassette di bibite.
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simone toson ha scritto:Buttarla sul colore/bianco e nero mi sembra un tantino riduttivo per un post che si intitola "la fotografia è altro".
Ci torniamo, ci torniamo sull'"altro".

è stata solo una piccola divagazione/divertissement.
abschied ha scritto:PS: purtroppo io di emulsioni e di algoritmi non ne capisco un cavolo. Dovremo trovare qualcos'altro...
Quel poco che so:

Se parliamo di pellicole, i produttori studiano le emulsioni per ottenere determinati risultati. Ogni pellicola ha la sua "firma": ovviamente Kodachrome e Fuji Velvia, ma anche Portra, Ektar, persino Kodak Ultramax. Ci sono le caratteristiche distintive di TriX, PlusX, le pellicole a grana tabulare, etc. L'emulsione viene calibrata in maniera da ottenere una determinata resa.

Se parliamo di digitale non è concettualmente molto diverso: il sensore ha un suo modo di catturare la luce e di trasformarla in segnale digitale. I fotodiodi dei sensori per loro natura registrano sfumature di grigio, il colore è "aggiunto" anteponendo filtri RGB (il filtro Bayer). Poi c'è il processore di immagini che "prende" il segnale digitale ed esegue una serie di operazioni quali la trasformazione di Bayer, la demosaicizzazione, la riduzione del rumore e l'aumento della nitidezza per poi produrre il file digitale.

Questo per dire che sia i produttori di pellicole, sia i produttori di apparecchi digitali decidono il risultato, che è una precisa scelta dei produttori che si prefiggono una specifica resa visuale. Non c'è nulla di "naturale" e tutto è deliberato.
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simone toson
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cliqueur ha scritto:
simone toson ha scritto:Buttarla sul colore/bianco e nero mi sembra un tantino riduttivo per un post che si intitola "la fotografia è altro".
Ci torniamo, ci torniamo sull'"altro".

è stata solo una piccola divagazione/divertissement.
Sì sì non volevo far polemica 8)
abschied
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Allora, abbandoniamo al loro destino le emulsioni ed i sensori e cerchiamo di ripartire proprio da Cartier-Bresson. Un'accusa ricorrente ad un certo modo di fotografare è quella di riproporre acriticamente lo stile di Cartier-Bresson invece di cercare nuove soluzioni espressive. Suppongo che la stessa critica - magari velata per deferenza al maestro - sarebbe emersa anche nei confronti dello stesso Bresson se, invece di morire, avesse imperterrito continuato a fare per altri vent'anni quello che aveva fatto per tutta la vita. Ora a me sembra che all'origine di questa critica ci sia ancora una volta l'assunto che la fotografia debba essere una forma di espressione creativa e che quindi, come in altre forme d'arte, è imperativo sforzarsi continuamente superare gli stilemi del passato. Questo assunto non è un pregiudizio campato in aria poiché tanti fotografi lo hanno fatto proprio cercando, con più o meno fortuna, di crearsi un proprio stile. Il problema è che mentre quelli bravi sono riusciti ad evitare che il loro stile snaturasse la funzione fondamentale della fotografia che per me - ormai lo avrete capito - è puramente e semplicemente documentare un dato di realtà, per molti altri la ricerca della novità è diventata un fine in se, sfociando spesso in un puro gioco formale. Può sembrare un paradosso ma io credo i veri grandi maestri - e Cartier-Bresson in primis - sono quelli che hanno saputo evitare il pericolo del manierismo proprio evitando di avere uno stile e concentrandosi invece sullo sforzo di catturare in un'immagine bidimensionale e statica il carattere spazialmente e temporalmente dinamico dell'evento testimoniato. Se questo è vero non c'è nessuna ragione di criticare coloro che, nei limiti delle proprie capacità, perseguono lo stesso fine anche a rischio di apparire degli epigoni. Gli chefs che vogliono avere successo mondano si inventano ricette sempre nuove ed alambiccate avendo maggiormente a cuore la loro immagine che la soddisfazione di chi mangia. Le nonne da cui tutti abbiamo imparato sapevano che la fantasia in cucina raramente funziona. Non ci sono diecimila maniere di fare il ragù, ma solo ragù più o meno buoni.
Paolo Viviani
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cliqueur
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Buonasera Paolo,
Per ora ti lascio questo.
Non discuto Cartier-Bresson, il più significativo fotografo tra gli anni ‘30 e ‘70 del XX secolo, un precursore non solo dell’elemento visuale, ma nel modo di intendere il fotogiornalismo.
Mi viene l’orticaria vedendone le distorte letture e caratterizzazioni che molti fanno e soprattutto quando lo arruolano in quel buco nero che viene chiamata “street photography”.
A presto!
Ultima modifica di cliqueur il ven gen 29, 2021 12:00 pm, modificato 1 volta in totale.
abschied
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Caro Luca,
ti ringrazio del tuo articolo che condivido interamente. In particolare mi conforta che tu abbia scelto di riportare il suggerimento di Capa: "Non conservare l'etichetta di fotografo surrealista. Sii un fotoreporter. Altrimenti cadrai nel manierismo." Non conoscevo questa citazione, ma mi sembra perfettamente in accordo sia con la concezione della fotografia come strumento di testimonianza, sia con l'assunto, apparentemente paradossale, che la grandezza non solo di Cartier-Bresson, ma di tanti altri fotografi con personalià molto diverse - penso a Adams, a Koudelka e a Seymour -, risiede proprio nel fatto di essere riusciti a depurare il loro lavoro da ogni traccia di manierismo fino al punto da poter dire che non possiedono uno stile. Con questo naturalmente non voglio dire che non ci siano grandi fotografi che hanno invece impresso alle loro immagini uno stile riconoscibile; basterebbe per questo citare Klein, Frank o Larrain. Dico solo che nel loro caso può essere valido l'ammonimento volto alle più giovani generazioni a non fare i "d'après". Sempre seguendo questa linea di pensiero, mi sembra emblematica la vicenda umana di Haas che dopo averci dato indimenticabili immagini delle tragedie del dopoguerra, decise di darsi uno stile con l'uso del colore e di altri manierismi (panning, sfuocati etc) che non a caso vengono scimmiottati da chi non ha il suo talento.
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luca rubbi
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abschied ha scritto:Caro Luca,
ti ringrazio del tuo articolo che condivido interamente. In particolare mi conforta che tu abbia scelto di riportare il suggerimento di Capa: "Non conservare l'etichetta di fotografo surrealista. Sii un fotoreporter. Altrimenti cadrai nel manierismo." Non conoscevo questa citazione, ma mi sembra perfettamente in accordo sia con la concezione della fotografia come strumento di testimonianza, sia con l'assunto, apparentemente paradossale, che la grandezza non solo di Cartier-Bresson, ma di tanti altri fotografi con personalià molto diverse - penso a Adams, a Koudelka e a Seymour -, risiede proprio nel fatto di essere riusciti a depurare il loro lavoro da ogni traccia di manierismo fino al punto da poter dire che non possiedono uno stile. Con questo naturalmente non voglio dire che non ci siano grandi fotografi che hanno invece impresso alle loro immagini uno stile riconoscibile; basterebbe per questo citare Klein, Frank o Larrain. Dico solo che nel loro caso può essere valido l'ammonimento volto alle più giovani generazioni a non fare i "d'après". Sempre seguendo questa linea di pensiero, mi sembra emblematica la vicenda umana di Haas che dopo averci dato indimenticabili immagini delle tragedie del dopoguerra, decise di darsi uno stile con l'uso del colore e di altri manierismi (panning, sfuocati etc) che non a caso vengono scimmiottati da chi non ha il suo talento.
Bellissime parole, Haas aveva un talento pazzesco.

Ciao Luca
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La foto singola non ha senso
  • perché nella quasi totalità dei casi (e il denominatore tende ad infinito) è stata già fatta e vista.
  • perché rappresenta, nella quasi totalità dei casi, una realtà che ci è più che nota.
  • perché mediamente c’è qualcuno che, con maggior dedizione e attenzione, l’ha fatta tanto meglio di quella che abbiamo appena fatto o stiamo guardando.
  • perché la “claque” è sempre attiva, prodiga di compiacimento. E l’autocompiacimento facilita la ripetizione.
Poi resta sempre vero che “in una fotografia ciascuno vede quello che sa” e si può sempre dire “l’ho fatta così perché così la volevo fare”.

Andare oltre la foto singola o la ripetizione è difficilissimo, perché richiede immaginazione per concepire e fatica per realizzare.

Certo, siamo liberi. Di essere soggettivi. Di esprimerci come crediamo. Ma anche di volerci difendere da quello che ci capita davanti agli occhi.
Ultima modifica di cliqueur il dom mar 14, 2021 11:04 am, modificato 2 volte in totale.
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La forma.

Le arti visive, che comprendono le arti plastiche, in qualche modo vivono di forma. O di non-forma. Ma la forma è essenza visuale.

Una tautologia, forse.

Il pittore si prende cura di dare forma, o non forma. Lo scultore. Il grafico.

La fotografa, in linea di massima, recepisce la forma. Cioè qualcun altro si è preso cura di definire la forma che ella cattura e riproduce. Mettendo la cornice, quadrata, rettangolare, verticale o orizzontale intorno alle forme.

Ed ha una responsabilità la fotografa: dare la sua forma alle forme che qualcun altro per lei ha definito. È una responsabilità di cui bisogna avere consapevolezza, anche nel momento in cui la si tramuta in non-forma.
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