[Foto] Una solitudine troppo rumorosa
Inviato: mar gen 30, 2007 7:34 am
Spero non ve la prenderte per la citazione, fin troppo banale, ma avendo riletto qualche cosa di recente mi e' subito tornato in mente, quindi perdonate.
Foto di domenica.
Bohumil Hrabal(1914 - 1997)
Klubi poezie: Prílis hlucná samota (Una solitudine troppo rumorosa)
Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in quegli anni avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiarsi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari.
(Traduzione: Sergio Corduas)
A cura di http://www.geocities.com/Athens/Delphi/7433/





"Quando venne l'autunno di quel penultimo anno di quella seconda guerra, comperai della carta da pacchi azzurra, fili, rocchetti di filo grezzo, colla, e per tutta la domenica, sul pavimento, mentre la zingara andava a prendere la birra, incollai e composi un aquilone, tesi i fili perimetrali affinchè l'aquilone salisse con precisione su ai cieli, e poi facemmo rapidamente una lunga coda, a corda, la zingara, come le avevo insegnato, legava colombelle di carta, e così ci recammo insieme a Okrouhlìk, e quando lanciai l'aquilone ai cieli e allentai il filo e per un attimo lo tenni nelle dita e tirai, affinchè l'aquilone si tendesse e restasse immobile nel cielo, e solo con la coda formasse a onda la lettera S, la zingara aveva il volto coperto dalle mani e sopra le dita c'erano quei suoi occhi spalancati meravigliati... E poi stavamo seduti e io davo cavo, e feci reggere alla zingara l'aquilone in cielo, e la zingara gridava che l'aquilone l'avrebbe sollevata ai cieli, che sentiva di volare in su nel cielo, come la vergine Maria, la reggevo per le spalle, così, semmai, saremmo volati su insieme tutti e due, ma la zingara mi restituì il rocchetto del filo, e così stavamo seduti e la zingara aveva la testa appoggiata alla mia spalla, e io a un tratto decisi di mandare all'aquilone un bigliettino, e feci reggere alla zingara il filo, ma la zingara aveva di nuovo il terrore che l'aquilone la portasse ai cieli, e di non vedermi mai più, così piantai in terra un paletto sul quale era avvolto il filo grezzo, strappai dal mio blocco una paginetta, feci un taglietto, la inserii sul filo, e quando presi nuovamente nelle dita il rocchetto, la zingara gridò, tendeva le mani verso il bigliettino, il quale con un movimento a strappi saliva in alto lungo il filo, sentivo nelle dita come l'aquilone tirava, ogni colpo di vento lassù mi entrava attraverso le dita dentro tutto il corpo, e quando il bigliettino raggiunse la briglia dell'aquilone io sentii quel tocco e cominciai a tremare tutto, e a un tratto quell'aquilone era Dio e io ero il figlio di Dio, e quel filo era lo Spirito santo lungo il quale l'uomo entra in rapporto, in intimo contatto e in colloquio con Dio stesso. Così lanciammo ancora alcune volte l'aquilone ai cieli, la zingara s'era fatta coraggio e reggeva il filo e tremava tutta proprio come me, tremava come tremava anche l'aquilone sotto i colpi del vento, reggeva il filo col ditolino e gridava per l'entusiasmo... Una volta a sera tornai a casa, la zingara non mi aspettava, accesi la luce, uscii e riuscii fino al mattino davanti alla casa, ma la zingara non venne, non venne neanche il giorno dopo, non venne mai più. La cercai, ma non la vidi mai più, la zingara bambinella piccolina, semplice come un legno non sgrossato, la zingara come respiro dello Spirito divino, la zingara che non voleva niente più che accendere la stufa con la legna che portava sulle spalle, quei pali e tavole pesanti dei cantieri di demolizione, legni grandi come una croce, davvero non voleva più che cucinare gulasch di patate con salame di cavallo, aggiungere carbone nella stufa e in autunno lanciare l'aquilone ai cieli. Soltanto dopo venni a sapere che l'aveva presa la Gestapo con gli altri zingari e l'aveva portata in un lager dal quale non tornò più, la bruciarono da qualche parte a Majdanek o Osvetirn nei forni crematori. I cieli non sono umani eppure io quella volta ero ancora umano. Dopo la guerra, quando non venne, bruciai nel cortile l'aquilone con tutti i fili, la lunga coda la cui colombella aveva fatto la zingara piccolina il cui nome ho ormai dimenticato."
Bohumil Hrabal

Foto di domenica.
Bohumil Hrabal(1914 - 1997)
Klubi poezie: Prílis hlucná samota (Una solitudine troppo rumorosa)
Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in quegli anni avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiarsi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari.
(Traduzione: Sergio Corduas)
A cura di http://www.geocities.com/Athens/Delphi/7433/





"Quando venne l'autunno di quel penultimo anno di quella seconda guerra, comperai della carta da pacchi azzurra, fili, rocchetti di filo grezzo, colla, e per tutta la domenica, sul pavimento, mentre la zingara andava a prendere la birra, incollai e composi un aquilone, tesi i fili perimetrali affinchè l'aquilone salisse con precisione su ai cieli, e poi facemmo rapidamente una lunga coda, a corda, la zingara, come le avevo insegnato, legava colombelle di carta, e così ci recammo insieme a Okrouhlìk, e quando lanciai l'aquilone ai cieli e allentai il filo e per un attimo lo tenni nelle dita e tirai, affinchè l'aquilone si tendesse e restasse immobile nel cielo, e solo con la coda formasse a onda la lettera S, la zingara aveva il volto coperto dalle mani e sopra le dita c'erano quei suoi occhi spalancati meravigliati... E poi stavamo seduti e io davo cavo, e feci reggere alla zingara l'aquilone in cielo, e la zingara gridava che l'aquilone l'avrebbe sollevata ai cieli, che sentiva di volare in su nel cielo, come la vergine Maria, la reggevo per le spalle, così, semmai, saremmo volati su insieme tutti e due, ma la zingara mi restituì il rocchetto del filo, e così stavamo seduti e la zingara aveva la testa appoggiata alla mia spalla, e io a un tratto decisi di mandare all'aquilone un bigliettino, e feci reggere alla zingara il filo, ma la zingara aveva di nuovo il terrore che l'aquilone la portasse ai cieli, e di non vedermi mai più, così piantai in terra un paletto sul quale era avvolto il filo grezzo, strappai dal mio blocco una paginetta, feci un taglietto, la inserii sul filo, e quando presi nuovamente nelle dita il rocchetto, la zingara gridò, tendeva le mani verso il bigliettino, il quale con un movimento a strappi saliva in alto lungo il filo, sentivo nelle dita come l'aquilone tirava, ogni colpo di vento lassù mi entrava attraverso le dita dentro tutto il corpo, e quando il bigliettino raggiunse la briglia dell'aquilone io sentii quel tocco e cominciai a tremare tutto, e a un tratto quell'aquilone era Dio e io ero il figlio di Dio, e quel filo era lo Spirito santo lungo il quale l'uomo entra in rapporto, in intimo contatto e in colloquio con Dio stesso. Così lanciammo ancora alcune volte l'aquilone ai cieli, la zingara s'era fatta coraggio e reggeva il filo e tremava tutta proprio come me, tremava come tremava anche l'aquilone sotto i colpi del vento, reggeva il filo col ditolino e gridava per l'entusiasmo... Una volta a sera tornai a casa, la zingara non mi aspettava, accesi la luce, uscii e riuscii fino al mattino davanti alla casa, ma la zingara non venne, non venne neanche il giorno dopo, non venne mai più. La cercai, ma non la vidi mai più, la zingara bambinella piccolina, semplice come un legno non sgrossato, la zingara come respiro dello Spirito divino, la zingara che non voleva niente più che accendere la stufa con la legna che portava sulle spalle, quei pali e tavole pesanti dei cantieri di demolizione, legni grandi come una croce, davvero non voleva più che cucinare gulasch di patate con salame di cavallo, aggiungere carbone nella stufa e in autunno lanciare l'aquilone ai cieli. Soltanto dopo venni a sapere che l'aveva presa la Gestapo con gli altri zingari e l'aveva portata in un lager dal quale non tornò più, la bruciarono da qualche parte a Majdanek o Osvetirn nei forni crematori. I cieli non sono umani eppure io quella volta ero ancora umano. Dopo la guerra, quando non venne, bruciai nel cortile l'aquilone con tutti i fili, la lunga coda la cui colombella aveva fatto la zingara piccolina il cui nome ho ormai dimenticato."
Bohumil Hrabal
