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Deborah dice:
Mi piace avvicinarmi e mi piace la piccola danza che il 50mm ti costringe a fare. Non è l'obiettivo a muoversi, non mi piacciono gli zoom, ma sei tu a farlo. E a volte i suoi limiti evidenti ti costringono a lavorare di fantasia.
Questo mi ha fatto riflettere e ha messo in moto tutta una serie di considerazioni:
Il disporre di ottiche con le quali ci si sente a nostro agio e che ci permettono di ottenere quello che più si avvicina alla nostra concezione dell'essere, ci da la possibilità di concentrarci sul lato profondo della realtà e non sulla sua apparenza.
Questo è il paradosso della fotografia, sembra l'arte dell'istante, che per definizione dovrebbe essere superficiale ed invece finisce per essere un’arte profonda, perchè è nell'istante che si sublima il tutto.
Quanto amo la fotografia, ha una espressività terribile, che per il fotografo spesso, si confonde con il ricordo di un evento o di una situazione, ma soprattutto con la sua percezione della realtà.
Questo è il dramma, riuscire a svincolarsi dal legame emozionale del vissuto ed avere la capacità di scegliere (annoso problema), si perché la fotografia si gioca il tutto e per tutto nella “esecuzione”, il confronto con la musica non è azzardato, la fotografia è l’arte della diretta, del "qui ed ora".
Il trasporre una situazione serve a poco, nel senso che alcuni maestri sono in grado di riprodurre in studio, ma con le debite differenze qualcosa che li ha emozionati od incuriositi nel reale, in ogni caso si tratta di rielaborare del materiale per farne qualcosa d’altro, un po’ come accade in pittura.
Devo dire però che ciò che più eccita la mia fantasia, è la possibilità di cogliere nel fluire degli accadimenti qualcosa da trasfigurare o perlomeno imbrigliare in un fotogramma (parlo come un vecchio, altro che digitale…), nel senso che la vita vissuta può diventare come per incantesimo arte, superare cioè la naturale sudditanza nei confronti della fotografia, già per definizione arte magica che ruba l’anima (e questo è vero, ma ne ruba poca...), prendendo via via coscienza delle enormi potenzialità di questo mezzo che ti cambia la vita, e non lo dico io ma autori affermati del secolo passato.
Citando una frase di Ando Gilardi ho sostenuto che il grandangolo è come una droga, ebbene la fotografia è una droga mille volte più potente, almeno per me, per dirla alla Mapplethorpe , ti prende un po’ alla volta senza che tu te ne accorga, e poi non ti lascia più, quando cerchi di liberartene è troppo tardi.
Non dirò come disse lui, “è stato un errore”, ci mancherebbe altro, come ogni buon “drogato” la odio ma soprattutto la amo, la fonte delle mie allucinazioni ossessive.
Concludendo vorrei sostenere l’autonomia di questa forma di espressione a me così cara perché così vicina ad una concezione romantica dell’arte come esperienza del vissuto, l’arte che si mischia in modo assoluto ed inscindibile alla vita, che bello!
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Siccome mi sembra sempre interessante e visto che può essere letto da tante persone nuove, ve lo ripropongo original.

Ciao
Luca