MA CHE STORIA È QUESTA!

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mauro ruscelli
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Un articolo di Giuliana Scime' tratto da FOTOgraphia numero 127 del dicembre 2006. E' un raro esempio, sull'editoria nostrana, di critica vera.



MA CHE STORIA È QUESTA!
Nel mese di marzo di quest’anno, FOTOgraphia pubblicò un articolo dal titolo Chi siamo? Dove andremo? una sintetica riflessione sui mali che affliggono il mondo della fotografia in Italia, in tempi attuali.
Accennavo appena a Storia della fotografia di Angela Madesani che, proprio in quei mesi, stava turbando le pochissime, per fortuna, persone che lo avevano fra le mani.
Angela Madesani mi scrisse, in termini molto civili:
Gentile Dottoressa Scimè,
ho letto quanto da lei scritto sul mio libro. Il mio è stato un imperdonabile errore di stampa, ma credo che in quel libro vi sia anche del buono.
Il titolo “pomposo” non l’ho scelto io, solo una faccenda editoriale.
Come ho gia scritto e spiegato la mia impresa ha solo la modesta pretesa di aiuta re i miei studenti e non credo di avere commesso un delitto così atroce. Mi pare che ciascuno di noi abbia commesso degli errori durante il suo percorso e mi pare un p’ esagerato accanirsi sui colleghi con toni cosi forti.
Con immutata stima
Angela Madesani
Risposi:
Gentile Angela,
credo di averle detto personalmente che stimo il lavoro che ha svolto.
Di errori ne ho commessi anch’io e tantissimi. Di fianco alla mia scrivania ho una breve frase tratta da un lavoro di Bertolt Brecht:
Al signor K. chiesero che cosa stesse facendo:
“Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore”.
Per quanto concerne il suo saggio, voglio innanzitutto sottolineare che da parte mia non vi e stato accanimento nei confronti di una collega.
L’articolo era ed è una personale riflessione sulla mancanza di serieta’ -per usare un termine ‘leggero” che sta imperversando nella fotografia in Italia. Ho considerato la sua opera uno degli esempi negativi. Perche’? Gli errori clamorosi, l’ho letto oltre l’indice. L’impostazione. Una storia della fotografia è impresa che richiede studio, competenza, riflessione, capacita d’analisi e molte altre virtù.
Se, poi, lei mi dice di averla scritta per aiutare i suoi studenti, rimango atterrita.
Quando lei scrive a pagina 18, a proposito di Talbot: « […]scene di vita quotidiana della campagna inglese. Molte sono dei ritratti e alcune, specialmente quelle dei lavoratori terrieri, sono considerate antesignane del futuro foto giornalismo».
Mi scusi l’impertinenza, ma lei ha mai visto le calotipie di Talbot?
Forse non ha fatto un superfilo di confusione con Emerson? Peraltro trattato in due righe, senza alcuna rilevanza al movimento pittorialista che nasce proprio in In ghilterra. E Hill e Adamson, in scheda dopo Brady e Fenton, e guarda caso gli unici ad utilizzare in modo estensivo il processo di Talbot?
E poi quel “futuro fotogiornalismo” è una perla che non ho idea in quale mare o fiume lei l’abbia mai trovata.
Non proseguo, mi stanca e mi avvilisce troppo.
Gentile Angela, la sua impresa, come ama definirla, e un disastro di proporzioni immani:
se presa sul serio potrebbe arrecare dei danni irreparabili alla formazione dei futuri “operatori del settore fotografia”.
Infine, la puerile giustificazione dell’errore di stampa.
È credibile che una lastra di rame placcata in argento o argentata si trasformi in supporto in cuoio? Una sfida al la più comune intelligenza che non le fa onore.
In tutta sincerità, e proprio per evitare che nel nostro paese la situazione continui a precipitare invece che evolversi, consiglio di ritirare quel volume dalla distribuzione.
Ne scriva un altro, corretto.
Auguri, Giuliana Scimé


Da quello scambio di messaggi scaturisce l’analisi del libro (se così si deve chiamare comunque un prodotto dell’editoria) che ritengo doverosa. E non è “accanimento”, e autentico terrore che anche una sola frase, un solo concetto possa tarlare per sempre la mente di chiunque, sprovveduto, desideri avvicinarsi alla fotografia, o al nostro armonioso e ricco idioma.
CONSIDERAZIONI
GENERALI
1. lI lessico è così miserevole, che il verbo “fare” (sia pure un ausiliario) sostituisce qualsiasi altro verbo.
I “di cui, per cui, in cui” sono un’ossessione e si sprecano; in otto righe ve ne sono ben quattro (pagina 114), solo un esempio.
2. Le trappole linguistiche tradiscono la dottoressa.
Cuir (cuoio) e cuivre (rame), la celebre lastra di rame e supporto di cuoio.
Talbot eccellente scolaro (in inglese, “scholar” significa studioso, erudito [a proposito, l’editore Zanichelli di Bologna ha in catalogo una collana di dizionari sui “falsi amici” delle lingue straniere: false analogie e ambigue affinita’ con l’italiano]).
“Non sapevo dove piazzare la scatola nera, come effettuare una messa a fuoco. Fu con
enorme costernazione che effettuai la mia prima fotografia». Il testo originale nel diario di Julia Margaret Cameron, Annals of my Glass House (1874), recita:
“I did not know where to place my dark box, how to focus my sitter, and my first picture I effaced to my consternation by rubbing my hand over the filmy side of the glass». In italiano corretto, la traduzione: «Non sapevo dove riporre la scatola dei materiali fotosensibili, come mettere a fuoco i miei soggetti, e con costernazione distrussi la mia prima fotografia strofinando la ma nosul lato sensibilizzato della lastra». Esattamente il contrario, sorvolando sulla “scatola nera” che non si verificarono funesti incidenti d’aereo.
«Albert Renger-Patzsch, fotografo industriale e pubblicitario che riuscì a rimanere a galla durante gli anni del nazismo grazie al tipo di fotografia da lui prodotto «Si dedicarono alla foto grafia pubblicitaria: basti ricordare appunto August Sander, che sbarcava il lunario con fotografie industriali. [ Si utilizzava così la fotografia a scopo di marketing’. Negli anni Venti e Trenta, la fotografia pubblicitaria e la fotografia a scopo di marketing? Il concetto di marketing è così recente da essere entrato nel lessico da pochissimo, e di pubblicita’ quei signori (Renger-Patzsch, Sander) non se ne sono mai occupati - è che publicity significa diffusione, divulgazione- e nemmeno di questo si occuparono, ma di sporadici lavori su commissione.
Perché andare a leggere i testi in lingua originale (e la bibliografia e cosi vasta da provoca re invidia persino alla Biblioteca di Stato Sormani), quando non la si domina? In internet, senza spostarsi dal tavolo di lavoro, si trovano centinaia di siti attenti e corretti e rispettosi del nostro armonioso idioma, su queste elementari nozioni sulla storia della fotografia.
E se la dottoressa avesse letto con attenzione solo un paio di testi fondamentali non sarebbe caduta in simili agghiaccianti oscenita’.
E che volgarita’ di espressione: rimanere a galla e sbarcava il lunario.
«dal Bauhaus - che lavorava per l’industria” è atroce! Vuol dire non sapere nemmeno quali fossero i principi programmatici della Bauhaus, oltre a recare oltraggio alla nostra lingua come, piu’ avanti ‘Hine biologo (a pagina 116 è finalmente sociologo) si interessa molto al rapporto di collaborazione, sempre in ambito lavorativo, tra l’uomo e la macchina’. Non ci si puo credere! Disturbi, miei, di lettura? Invenzioni allucinatorie che mi inducono a comporre frasi prive di senso? Mio attacco schizofrenico che antropoformizza la macchina?
3. “fotografia vegetale” (pagina54) sono molto curiosa di vedere anche la fotografia animale e quella minerale, che in quella “vegetale” non mi sono mai imbattuta.
«Leica impacchettata in un tovagliolo».
‘Lotte Jacobi, figlia d’arte, particolarmente versata al ritratto».
E una tortura infame inflitta agli innocenti lettori -spero davvero esigui- che vanifica la passione intellettuale dei nostri Zingarelli, Devoto-Oli, Gabrielli... e di tutti coloro che hanno dedicato l’intera vita ad insegnarci il rispetto della nostra lingua. E tralascio scrittori, saggisti, giornalisti (escluso Vittorio Feltri, che dovrebbe essere radiato dall’Ordine dei Giornalisti con l’accusa di massacro linguistico), persino le avventure di Diabolik sono ineccepibili.
4. Le illustrazioni sono spesso di una qualità ignobile: riproduzioni da libro con la grana del retino che riportano alle sperimentazioni di Xanti Schawinsky. Chi era costui?
Sempre internet avrebbe aiutato, catturando immagini pregevoli. E sarebbe venuto in soccorso per evitare errori storici innominabili; ad esempio:
“Tra le sue foto [ Tazio Secchiaroli] piu conosciute quella di “Anitona”, la bionda nordica Anita Ekberg, che si bagna nel la Fontana di Trevi a cui si è poi ispirato Fellini per il suo film.” Quella immagine e davvero un fotogramma del film, il direttore della fotografia era Otello Martelli. Il prezioso contributo di Secchiaroli è piu complesso e Federico Fellini “disegna” su di lui il personaggio del fotografo di cronaca rosa Paparazzo (l’attore Walter Santesso), dal cui nome proprio si e’ da qui passati al nome comune (!), che affianca il protagonista, Marcello (Mastroianni), giornalista.
5. Gli argomenti sono suddivisi in capitoli, ma all’interno dei capitoli, per quanto abbia cercato di mettere insieme le tessere di un mosaico logico, non ho individuato la regola utilizzata da Angela Madesani per inserire le schede: non alfabetica, non data di nascita o di attivita’, non nazionalita’... e sarei grata alla dottoressa Madesani se almeno mi risolvesse tale rebus.
Robert Mapplethorpe e incorporato nel capitolo della fotografia di moda, mentre Richard Avedon e Irving Penn -sul serio “modisti” e rivoluzionari- si ritrovano nel generico Dagli anni quaranta ai sessanta assieme a tanti altri in una contusione da non riuscire a recuperare il piu’ evanescente filo conduttore.
E vale anche per il capitolo Anni ottanta e novanta, sparutissimo gruppo di italiani dove sono schizzati dentro Martin Parr, JoeI-Peter Witkin e Sebastiao Salgado.
Del tutto ritenuti indegni di una scheda gli autori giapponesi che, da Shoji Ueda a Yasumasa Morimura, hanno espresso i piu’ innovativi momenti della fotografia contemporanea. Cosi, Franco Fontana, il primo a comprendere che il colore non e una fotografia colorata, ma un mezzo espressivo. E tali assenze, invece di rattristare, riempiono di gioia: si sono salvati dall’eccidio.
6. I nomi di battesimo spesso mancano e provocano non poca perplessita’ -ad esempio chi e’ il surrealista Miller che in fluenza Andre Kertesz? Henry Miller, lo scrittore che viveva a Parigi negli stessi anni o la bellissima Lee Miller?-, o sono sbagliati (Edwin Caldwell per Erskine). Così, il titolo della scheda (miserrima di quattordici righe) recita: John Heartfield, pseudonimo di Helmut Herzfeld e il testo inizia con: ‘ durante la prima guerra mondiale che John Herzfeld decide di anglicizzare il suo nome’.
Dottoressa lei rilegge quello che scrive?
E le contraddizioni interne:
«Beato stimola decisamente lo sviluppo della fotografia in Giappone, pur non avendo mai formato una vera e propria scuola”. Si dà il caso che Felice Beato origina davvero la scuola della fotografia in Giappone, con discepoli indigeni e personaggi europei che seguiranno i suoi stili e le sue tecniche.
Ed alcune righe sopra si legge: “molte delle quali [fotografie] colorate a mano con l’anilina da un suo pittore di fiducia .” Beato impiega una schiera di coloristi giapponesi, abili nella stesura dell’acquarello -non anilina, che oggi quelle fotografie sarebbero del tutto ossidate- sulle stampe della tradizione.
Si giunge all’ilarita’, se ancora si ha voglia di ridere e non rotolarsi dalle pene insopportabili, quando Claude Batho, scomparsa consorte di John Batho, diviene un uomo e il lavoro dei due artisti, peraltro as ai differente, si sovrappone in un unicum (pagina 133).
Mentre a pagina 132 si scrive di Arno Minkkinen (non Minkinnen) tutto al passato, come fosse morto. Il bravo Arno a sessantun’anni e’ felice e produttivo, con un suo bel sito web.
‘Lucien Clergue [...] come fotografo fu intenso e coriaceo . Clergue è pure super stizioso e non vorrei, per il bene della Madesani, che qualcuno lo informasse di essere gia morto. Coriaceo, poi, un fotografo celebrato per i suoi estetizzanti nudi femminili?
‘Quest’ultimo [Rene’ Burri] fotografò gran parte della storia del mondo a partire dagli anni sessanta, e le sue immagini, cariche di simboli e aneddoti, sono un vero e proprio reportage ragionato, privo, il piu’ delle volte, dell’effimera immediatezza del fotogiornalismo’. Anche Burri e in ottima salute ed attivissimo, che il suo reportage ragionato, privo,il piu’ delle volte, dell’effimera immediatezza del fotogiornalismo non capisco cosa significhi, anzi ci perdo la ragione. In tutto, quattro righe per uno dei “monumenti” della Magnum (fonda ta a New York e non Parigi). Mentre a Raymond Depardon, ‘Le sue prime immagini hanno per soggetto un cane. […] Le sue immagini a cavallo fra il reportage e il paesaggio sono dif ficilmente collocabili nelle ristrettezze dei vari ambiti». La stalla, forse, e’ troppo angusta.
7. Pesi e misure, infatti. Le schede hanno lunghezze del tutto diverse, assolutamente corretto se fossero in rapporto all ‘importanza dell’autore. E no, il problema deve risiedere nelle informazioni reperite: Alexadr Rodchenko e’ liquidato in poche striminzite righe e a Manuel Alvarez Bravo nemmeno il pudore di una scheda, ma nell’introduzione generale al capitolo Dagli anni quaranta ai sessanta si legge, a proposito del reportage: «In Messico figura di spicco fu Manuel Alvarez Bravo, stimolato dall’arte e dalle opere di Picasso, discepolo di Weston, affascinato da Tina Modotti e segnato da quella irripetibile epopea culturale messicana degli anni venti e trenta. Nel 1934, grazie ad Andre Breton, scopri il surrealismo, Le sue immagini cariche di erotismo sono dominate da un profondo senso di solitudine. Attratto dalla tradizione e dalla storia del suo paese Alvarez Bravo e’ studioso di magia e di mitologia
Caro amico, dall’alto dell’impero celeste degli Aztechi, che hai raggiunto a cento anni, e che fino agli scorci di questo terzo millennio hai regalato magnifiche visioni, trova la bontà di perdonare questa Angela Madesani che non sa cosa dice, tanto meno cosa scrive: discepolo di Weston? surrealismo, erotismo, solitudine? studioso di magia e mitologia? ed inserito nel fotogiornalismo? Cosa ha a vedere tutta questa palude di devianti falsità con uno degli eccellenti nella storia della fotografia del Ventesimo secolo?
E qui entriamo nel merito, dolorosissimo, dei contenuti.
CONTENUTI
«[…] mantenendo sempre una fedeltà verso l’intelligenza formale e la semplicità compositiva per dare risalto alle forme [...] uno spazio ristretto, racchiuso da due pannelli angolari che incuneano i soggetti costretti ad assumere atteggiamenti e posizioni originali. Ciò che emerge è il volto, o la testa tagliata, che riesce a dare una lettura immediata del personaggio e il senso di quiete che cattura il transitorio [...] riesce ad americanizzare i soggetti rendendoli moderni ed essenziali, tali da comunicare immediatamente il loro significa to [...] che aveva già inventato la sua luce, inventa anche il suo spazio e incastra i personaggi in un angolo acuto, in una posizione claustrofobica, che non lascia spazio per la fuga. Come se si trattasse di un interrogatorio visivo [...] Le sue fotografie sono distanti dai canoni estetici dell’epoca: corpi algidi ma soffici e pieni, rilassati e lontani da qualsiasi intesa sessuale […] anche nelle immagini pubblicitarie scattate dal 1967 per la Clinique, marchio di cui è stato testimonial per piu di trent’anni. Gli stili life degli ultimi anni si distinguono per la presenza di materiali poveri e per la totale assenza di composizione dello spazio; uno spazio in cui gli oggetti so no impilati gli uni sugli altri, ma ciò non toglie la presenza di una forma chiara e semplice».
La scheda dedicata ad Irving Penn, scelta a caso. E non crediate che l’estrapolazione delle frasi abbia reso incomprensibile il testo.
Il Cielo deve essere particolarmente benevolo e protettivo se sono riuscita a sopravvivere, sana di mente, a simile massacro linguistico e concettuale.
Sfido il più astuto dei criptografi a mettere “in chiaro” simili concetti.
E poi, dottoressa Madesani, il “testimonial” non è il fotografo, ma il personaggio celebre o noto che veicola il messaggio pubblicitario e da quale gergo familiare o di villaggio ha estratto la disgustosa forma verbale “sono impilati”? Consiglio la consultazione attenta dei dizionari dei sinonimi, temo, pero, che le ruberebbe tempo e frenerebbe il suo orgasmo creativo.
“Lux Feininger, figura di spicco nel panorama della fotografia tedesca di quel periodo, soprattutto da un punto di vista teorico”. L’anno di riferimento è il 1926. Lux è nato nel 1910 e non ha mai scritto una riga in tutta la sua vita; come un ragazzino può essere una figura di spicco? Viveva negli edifici della Bauhaus assieme alla famiglia e scatto’ delle istantanee sulle attività che si svolgevano e qualche ripresa dell’ambiente esterno. Forse un filo di confusione con il padre Lyonel, pittore e maestro alla Bauhaus, o con il fratello maggiore Andreas?
Ed alla Bauhaus, che ancora oggi influenza ogni oggetto di design, è dedicata una scheda così ridicola e striminzita da gridare vendetta, e sì che la Madesani è specializza ta in arte contemporanea, dovrebbe snocciolare ogni detta glio della Bauhaus a memoria.
Non c’e una scheda dedicata a Lazio Moholy-Nagy Appena nominato sparso qua e la’. Il mio urlo interiore ha infranto tutti i cristalli del sapere in fotografia.
“[...] il lavoro di Strand ha una profonda influenza sulle ricerche di Stieglitz. In particolare sul lavoro degli Equivalenti».
E ancor prima, all’inizio della scheda a lui dedicata (pagina 41) «La storia di Stieglitz è perlopiù legata al foto-secessionismo». Chi o cosa fosse il foto-secessionismo non e dato di sapere, come non e dato di sapere tutta una serie di sparse menzioni simili a pulviscoli sospesi nell’aria.
Cio’ che scandalizza peggio di un’aberrante devianza sessuale e l’assoluta cancellazione della parabola intellettuale di Alfred Stieglitz e l’ignoranza (assoluta) della sua pratico/teorica impostazione della fotografia diretta o straight photography, come la volete definire. Ed è Paul Strand (i nomi completi!) che influenza Stieglitz ! Come affermare che il signor Diesel suggeri’ l’invenzione del motore a scoppio o, per rimanere nell’ambito della foto grafia, che Sebastiào Salgado ispira Henri Cartier-Bresson.
Qui siamo nel “giorno dei non compleanno” e l’ammirevole Lewis Carroll (pagina 29) è trattato come un individuo che mise in scena qualche modesto teatrino infantile. La cultura di un’epoca, gli orientamenti religiosi divergenti della chiesa anglicana, la cornice intellettuale e del costume non esistono.
Ed e’ proprio l’analfabetismo di qualsiasi riferimento storico/cul turale che rende avulsi tutti questi personaggi dal contesto sociale, e dalle altri arti, e azzera il significato del loro lavoro.
Signori, sono esausta. Qui mi fermo.
E la professoressa Madesani, che insegna storia della fotografia in un paio di istituti, per fortuna, privati, ha stilato questo mostro con la “pretesa di aiutare i miei studenti” e si è autoriconosciuta “storica della fotografia”.
Si sa che questo genere di recensioni stimolano all’acquisto. Per favore, non fatelo. Credetemi sulla parola e se proprio volete verificare, vi presto la mia copia, preziosissima, chiosata a mano.
Mi hanno insegnato un rituale del nord Europa: a mezza notte dell’ultimo dell’anno si promette qualcosa a se stessi per migliorare.
Angela prometta, al varco fra il 2006 e il 2007, che prima studiera la grammatica e la sintassi italiana -qualche lettura così per caso... gliela invieremo noi come regalo di Natale-. Poi, con calma, diciamo la notte del 2020, si prometta di scrivere in futuro una storia della fotografia filologicamente corretta nel rispetto del nostro idioma, almeno quindici anni le servono tutti e con applicazione quotidiana.
Giuliana Scimé
Mauro

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STREPITOSO!!!!

Nat
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massimostefani
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Sostengo da SEMPRE...e Raffaele mi è testimone che l'APPROSSIMAZIONE..per essere gentili, regna incontrastata in Italia(non solo in campo fotografico)
Mi fa piacere notare che cosi autorevoli sponde (4 chiacchiere con G.Scimè le abbiamo fatte...a suo tempo) resistano ancora saldamente,nel tentativo di arginare il diluvio di m...a che ci assedia da ogni dove!!!!


massimostefani
tutte le fotografie sono reali,nessuna è la verità.
R.Avedon
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Io mi sento meglio !

Nik.
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e io confesso, a proposito di approssimazione (quel che e' giusto e' giusto) di non avere MAI letto una storia della fotografia completamente.
Raffaele
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massimostefani
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Io si...e più di una!!! Ma è un po come leggere (con i dovuti distinguo...)
IL Signore degli Anelli....superato il compleanno di Bilbo..( vedi Niepce..Daguerre..Talbot..il collodio umido..le gomme bicromatate..ecc..ecc....) si arriva a Stieglitz di ritorno dall'Europa...a Sander...alle avanguardie della fotografia tedesca..alla FSA..e dopo non si molla più!

massimostefani


Ps: tanto di cappello a Nadar...ovviamente!
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R.Avedon
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