Riporto una breve discussione avuta con Nat su Salgago, spero non me ne vorra' e che il tutto possa arricchirsi anche con altri contributi. Ringrazio anche Nik per aver lanciato il sasso.
l'operazione salgado e' molto complessa, almeno a mio avviso. Prima di tutto l'applicazione dei simboli della sua cultura e comunque occidentali alle sue immagini (di qualunque realta' parlino) le rende leggibili per noi anche se forse non completamente coerenti. Quello che non apprezzo di Salgado e' di rappresentare una poverta' ed una miseria con atmosfere mitiche, di cospargere il tutto con una bellezza estetica che a me spesso fa perdere di vista il dolore del soggetto. I libri di salgado non sono mai di denuncia, e' anche per questo che vende ovunque, sono belli, i poveri sono pieni di dignita' e i sofferenti orgogliosi. Ci vuole una forte fede, cristiana o comunista o altro per vedere le cose come salgado.
Io non mi sento salgado.
M
Forse nei personaggi delle foto di Salgado c'è la stessa dignità che Verga attribuiva ai suoi "vinti".
Anche Verga era un fotografo.
A me non dispiace affatto, La Bellezza e la Verità coincidono.
Nat
Nat parlo solo a titolo personale, ovviamente, ma credo che le immagini di salgado siano tranquillizzanti per il ricco occidentale, puo' addirittura farti pensare "forse alla fine stanno meglio loro senza tanti pensieri". Io vedo questo nella bellezza di Salgado, mentre non sono cosi' le immagini di molti altri reporter, per cui anche io vedo Bellezza e Verita' molto vicine.
Forse e' perche' mi piace troppo come rappresenta le scene che mi faccio cosi' coinvolgere dal lato estetico piu' che emotivo. Sta di fatto che solo recentemente ho preso un paio di libri suoi, alla fine e' stato uno sfizio, i libri che prendo di solito vorrei che mi facessero capire come altri rappresentano la realta' che hanno attorno e che io posso vivere e capire perche' e' la mia stessa realta'.
M
Si, chiaro il tuo punto di vista.
Io però ho già difficoltà a comprendere ciò che mi circonda, come sai ho bisognoi di girarci intorno, "percepirlo" e poi forse, e sottilineo forse, scatto (Raffaele mi prende giustamente per il culo circa la mia tirchiaggine da scatto).
Dunque per me la bellezza delle foto di Salgado è un "tramite" alla percezione, non di certo alla comprensione.
Alla fine io vivo in Sicilia da sempre e non per questo posso dire di aver mai rappresentato la mia gente nelle foto, semmai solo la mia percezione. Ed io, molto onestamente lo ammetto, in questa percezione cerco di metterci un po' di quello che io reputo bello.
Nat
Ma e’ giusto, e’ quello che ognuno di noi fa. E’ chiaro che mettiamo noi stessi e la nostra percezione nelle nostre immagini ed io rappresento la mia ferrara e non quella che altri possono vedere. Cercavo solo di dire che alcuni autori come Basilico, Ghirri, Guidi, Gardin, Cresci, li sento piu’ vicini, come scelte e come immagini rappresentate, le loro immagini sono piu’ “difficili” ma al contempo capisco lo sforzo di interpretare la piattezza padana, e mi piace mi aiuta a vedere a volte con piu’ lucidita’. Come Friedlander ti puo’ aiutare non solo a capire ma anche a fare fotografia, perche’ e’ un uomo comune in una realta’ comune, che non cerca di scomodare ideali “alti”. Salgado e’ come Salgari, mi parla di mondi lontani, mi puo’ far sognare, ma potrebbe, come sandokan, essere solo un sogno. E non e’ importante perche’ comunque io non vedro’ mai quelle cose se non con occhi di altri.
M
non vedo la tranquillizzazione nele foto di salgado....ma neanche una denuncia estrema.....come tu dici....giustamente....il suo mitizzare ed enfatizzare una storia è micidiale!!!
ho un solo libro bellisimo di salgado.....può essere il suo un semplice riporto?senza denuncia ma pieno di bellezza?è così brutto abbellire il brutto?
trovo grande pathos nelle sue foto....
ho poche idee e vorrei con voi capire meglio....
però tutte le volte che si parla di queste cose mi viene in mente massimo che cita Avedon.....tutte le foto sono reali ma nessuna è verità!
Bella discussione.
Salgado, come artista, adotta uno stile da artista antico: pensa cioè che solo la bellezza può essere il linguaggio delle sue opere. Secondo me, in sostanza, il suo è un intento "antimoderno", e per quanto possa valere lo condivido.
Il brutto e l'antigrazioso nell'arte sono concetti prima romantici poi moderni. Lui è un classico che usa l'estetica (ma non l'estetismo, cosa diversa) e l'armonia per parlare della verità dell'uomo.
Almeno così mi è sempre sembrato.
Mi occorre un tempo che adesso non ho,visto che alle 19 devo essere operativo.Ma non vorrei che a Mauro (di sicuro non è cosi ma non si sa mai) fosse sfuggito di mente da "dove" arriva, Salgado,non certo da una ricca società occidentale.
Poi sul tema ritorniamo..con calma.
fter a somewhat itinerant childhood, Salgado initially trained as an economist, earning a master’s degree in economics from the University of São Paulo in Brazil. He began work as an economist for the International Coffee Organization, often traveling to Africa on missions for the World Bank, when he first started seriously taking photographs.
Sono disposto a tutto, ma non a leggere cose tipo "si vabbè ma era ricco di famiglia, allora cambia tutto..."
Senno vi toccherà sorbirvi di nuovo la mia polemica preferita e cioè l'indipendenza fra l'opera d'arte e la biografia. E voi non volete, sorbirvela, VERO?
Cane della Scala ha scritto:Sono disposto a tutto, ma non a leggere cose tipo "si vabbè ma era ricco di famiglia, allora cambia tutto..."
Senno vi toccherà sorbirvi di nuovo la mia polemica preferita e cioè l'indipendenza fra l'opera d'arte e la biografia. E voi non volete, sorbirvela, VERO?
Caspita suona come una minaccia ! Per evitarla a chi GIA' l'ha letta, mi potresti dare qualche riferimento che me la sorbisco in privato, visto che mi interessa. E' una richiesta sincera e non scherzosa come potrebbe sembrare dal esordio. Grazie.
"Vorrei vedere in esse l'urgenza dello scatto, la necessità fisiologica dell'esserci, la frenesia nel respirare l'attimo, la furia di voler partecipare all'anelito di vita del pianeta."
Qualcosa qui: viewtopic.php?t=1709&postdays=0&postorder=asc&start=0
Il tutto partì per una mia citazione di Pulp Fiction
A parte gli scherzi, e ricordando che per fortuna Massimo e Raffaele hanno ben tollerato la mia verve acidula, il tema lo ritengo sempre interessante e inevitabile anche in fotografia...
Buona lettura (avete voluto la bicicletta )
Ed ecco qualcosa che mi offre il destro per partecipare a cio’ che colpevolmente avevo trascurato qualche giorno fa, che e’ la fotografia dell’ Altrove.
Proviamo per ora a sdoganarci dall’atto fotografico, cercando di considerarlo la conclusione tangibile del processo piu’ lungo e complesso dell’osservare e sentire; si tratta invero di una finalizzazione molto “occidentale” anche quando la praticano i giapponesi, essendo una forma di “capitalizzazione”, sotto forma di registrazione e conservazione, dell’esperienza vissuta. E si potrebbe partire per la tangente insinuando che la capitalizzazione digitale suggerisce un mutare dell’esperienza dell’osservare-sentire verso la quantita’ a scapito della qualita’ (cosa che richiede maggiore capacita’ di registrazione) o che la maggiore agilita’ di registrazione e’ imposta dal moltiplicarsi del numero di esperienze cui si e’ soggetti in una sola vita oggi, mentre l’uso di uno strumento di capitalizzazione non ad hoc quale il cellulare potrebbe diffamare sulla incapacita’ di affrontare la responsabilita’ dell’esperienza percettiva in modo maturo e consapevole, e di lasciarne una grossa parte ludica a comandarne l’azione.
Ma, dicevo, fermiamoci a monte dell’atto di fotografare e, collegando senza acrobazie Mauro a Varanasi e Salgado nel posto in cui sara’ in questo momento, cerchero’ di dire la mia sul Viaggio, e la fotografia ne diventa solo un piccolo corollario.
Ingredienti: Ruscelli e Salgado, Bruce Chatwin, Luis Sepulveda, Pierre Loti, Colin Thurbon, io (miserere), molti altri viaggiatori, ecc. Disclaimer: io mi associo a questa schiera esclusivamente per sottolineare che le mie sono opinioni personali, non mi sogno neppure da lontano...vabbe’ inutile neanche dirlo...
Allora, allora: cominciamo dal cosa si cerca quando si viaggia, che si viaggi col corpo, con la mente o, meglio ancora, con entrambi.
Molta gente di quella elencata sopra (tutti, a dire il vero, me compreso), quando viaggia non si sogna nemmeno di cercare di “capire”: viaggiare per capire e’ , a mio parere, una ipocrisia stantia. Io non capisco perche’ i miei dirimpettai vogliono tagliare i platani sulla strada, pero’ vado in Kazakstan e, magari con la presunzione consentitami dal fatto di lavorarci, “cerco” di capire (prego notare che “comprendere” e’ addirittura un passo oltre). Follia. Ma c’e’ di peggio: vado, ma siccome voglio “capire” prima leggo tutto al riguardo. Poi vado la’, vedo che e’ tutto diverso (Rush) da quello che ho visto e letto prima di arrivare e rimango comprensibilmente interdetto; ricordo il mio disappunto quasi rabbioso quando, giovane imbevuto di National Geographic, mi avventavo nei vicoli di Marrakesh nella vana ricerca di una location che non rigurgitasse di zainetti dei Pokemon. Ma i Pokemon erano dappertutto, e a pieno diritto: erano i miei preconcetti che non avevano diritto di essere li e pretendere una realta’ diversa (Avedon) che si genuflettesse al mio obiettivo.
Piano, piano, negli anni ho cominciato a comprendere alcuni concetti che ora, nella confusione generale del mio essere, sono inscindibili dal “viaggio”:
Per me viaggiare e’ “andare” prima di tutto, e poi, molto, molto semplicemente solo “esserci”. Ed e’ viaggiare vero solamente quando sei solo, perche’ solo allora cogli appieno te stesso: non il mondo circostante, ma te stesso, e l’anomalia che tu rappresenti in quell’istante preciso, in quel preciso punto del pianeta.
Ed e’ allora, e solo allora che le tue percezioni si acuiscono, e cogli si, alla fine, ma cogli sempre quello che tu sei, non quello che hai visto. E quando cogli quello che hai gia’ visto prima di partire (il turista...) anche questo ti dice chi sei.
Insomma il viaggio non e’ comprensione, ma deliziosa, angosciosa esposizione di se’ al flusso di accadmenti estranei, una languida resa allo spaesamento, la gioia selvaggia ma prudentemente imbrigliata dell’esserci, il timore dell’incontro e il sollievo del dopo l’incontro, la curiosita’ per il diverso e il ribrezzo per il troppo diverso.
Le conoscenze personali, le letture precedenti, sono il remo per assecondare la corrente, non la scienza per comprenderne le cause, e il fine, il vero fine, sta nell’assaporare il momento, nell’avvertire, in un momento di percezione accentuata, il suolo straniero sotto la suola, il sole innaturalmente caldo sulla delcata pelle del collo, l’artiglio del gelo che ti assale sulla porta, le tue gambe, le tue gambe che costruiscono con tanta o poca energia il tuo immisurabile spostamento sul pianeta, tanto immisurabile quanto foriero di galassie di sensazioni diverse separate da pochi passi.
E questo era per parlare dell’India, che di per se’ probabilmente e’ un paese fremente di attivita’ economica (compresi i Sadhu, come hai visto bene) e cosciente del proprio speciale momento (India Unbound) che da un secolo ormai e’ quasi sicuramente avvezza a dare allo straniero (Karma Cola) esattamente quel che lui va cercando, dalla illuminazione spirituale, alla commozione per gli emarginati. Emarginati per chi ? Anche qui c’e’ rischio di una visione preconcetta: loro sono emarginati perche noi li consideriamo tali. Loro in realta’ vivono cosi, semplicemente (e non parliamo delle caste...). Vorrebbero stare meglio ? Anche io, agli occhi di Bill Gates, sono un povero merdone sfruttato con compensi da fame da un sistema di management da operetta.
Dunque, il viaggio come mistero. Il Viaggio e’ da soli, o con un “fixer” locale che non deve essere una guida professionista, se non per quei minuti strettamente necessari in quella particolare occasione, senno’ e’ vacanza, e in vacanza si devono avere diverse pretese: la stanza pulita, la Coca Cola Light (avrei una storia...), il tassista che non ti frega, il souvenir.
Tutte opinioni personali.
Un passo oltre, sempre con la macchina fotografica nella borsa.
Viaggiamo, s’e’ detto, e osserviamo, e di conseguenza sentiamo.
Dato per scontato che almeno qui siamo onesti e sinceri (senno’ c’e il Milan in TV) tutti, compreso Salgado, diciamo che quindi quello che noi vediamo (alcuni di noi hanno la loro attenzione attratta da certe cose, altri da altre) non e’ la realta’ (Avedon...) ma la nostra rappresentazione, necessariamente filtrata da noi stessi, verso noi stessi della realta’ stessa. Vediamo, “mettiamo dentro” la visione, la impastiamo con il “chi siamo” , con le nostre esperienze precedenti di vita, le nostre letture, le convinzioni etiche, morali e religiose che abbiamo, e poi “mettiamo agli atti” del nostro spirito una sensazione finale (non definitiva, solo finale). E credo che questo, se non fa giustizia perche’ non voglio arrogarmene il diritto, dovrebbe chiudere anche il discorso su cosa si fotografa e chi si fotografa (le belle ragazze, i “rovinati”, l’architettura, il paesaggio...), perche’ la domanda diventa oziosa: si fotografa quello che “si vede” compreso, caro Rush, il non voler fotografare. Le tue immagini sull’India, che a me piacciono in quanto le trovo disarmantemente oneste, sono lampanti fotografie sul non voler fotografare.Detto questo, va da se che non solo Rush, ma nessun’altro e’ Salgado. Ma non perche’ Salgado faccia belle le cose brutte, ma perche’ ognuno di noi e’ assolutamente se stesso, almeno quando ha la percezione. Poi, magari dopo la estrinseca uniformandosi a un codice, e talvolta questo codice gli e’ estraneo (o nemico...), ma questa e’ un’altra storia ancora.
Nel caso di Salgado, e credo in questo di interpretare il pensiero di Stefani, ma comunque quello che segue e’ il mio pensiero, nel caso di Salgado c’e a monte la profonda religiosita’ con forti ubriacature sincretiche di tutto il sudamerica, la visione biblica della vita di tutti i giorni, la manifestazione di Dio sotto forma di bellezza inaspettata, un grande teatro della vita che fa di una stessa immonda epidemia di vaiolo in un momento lo strumento per ridicolizzare la distinzione in caste, in un altro una saggia arma del destino, in un altro un inopinabile biglietto di transito della natura e della storia, in un altro ancora lo strumento divino della catarsi di una puttana (sto parlando di Jorge Amado, Teresa Batista stanca di guerra ) e via andare.
Salgado, a mio parere (e qui ci metto il link, o vado fuori tema) si muove “rappresentando” , in modo informato e cosciente ma evitando di trarre giudizi (Nachtwey lo fa, di sicuro) ed opponendo alla visione preconcetta e opportunamente rimossa dal timore e dal ribrezzo del fruitore occidentale (timore e ribrezzo che Nachtwey si incarica di riconfermare...), una altra visione della tragedia, una visione che, con sottile sconcerto e spaesamento da parte nostra, fa emergere un certo stato di grazia anche nei luoghi e momenti piu’ impensati, a suggerire una permeazione del mistero divino in tutti i viventi e nel flusso delle loro esistenze, fossero essi un garimpero appoggiato a un palo come un moderno crocefisso, o una nonna balcanica che accudisce la nipote con gesto elegante sotto un’ improvvisato riparo di nylon trasparente.
L’incontro con la fotografia di Salgado puo’ davvero essere rassicurante, di primo acchito, una forma di sollievo di ritorno, ma a lungo andare sconcerta e fa riflettere, anche sul livello minimo di necessita’ che l’umano abbisogna per poter sopravvivere.
A me Salgado fa viaggiare....
Cane della Scala ha scritto:Qualcosa qui: viewtopic.php?t=1709&postdays=0&postorder=asc&start=0
Il tutto partì per una mia citazione di Pulp Fiction
A parte gli scherzi, e ricordando che per fortuna Massimo e Raffaele hanno ben tollerato la mia verve acidula, il tema lo ritengo sempre interessante e inevitabile anche in fotografia...
Buona lettura (avete voluto la bicicletta )
Grazie Cristiano, ho riletto l'intera 3d sul tema. Se devo essere sincero, con più attenzione! Il "tema" è certamente interessante e stimolante per tutti gli aspetti della vita che si voglia vivere con intenzione e non solo superficialmente. Ma forse anche di difficile soluzione, ammesso che si possa/voglia trovare una sintesi univoca ai divesi modi di vivere ed esprimere le emozioni, i pensieri, il proprio vissuto. Per il momento nella fotografia e nella vita, data la mia profonda ignoranza, mi limito a far conoscenza con il lavoro di chi credo possa insegnare qualcosa (e sono in tanti, forse troppi) mantenendo però quella sana (secondo me) distanza dagli eccessi concettuali e godendo della immediatezza sensoriale di alcune foto, sculture, quadri, poesie, ecc. Devo dire che ho riscontrato che finora non riesco a vivermi le due modalità insieme. Forse un giorno riuscirò a mettere a fuoco su entrambi i piani contemporaneamente.
"Vorrei vedere in esse l'urgenza dello scatto, la necessità fisiologica dell'esserci, la frenesia nel respirare l'attimo, la furia di voler partecipare all'anelito di vita del pianeta."
Non so se l'inciso in inglese era per me,ma non mi pongo il problema...anche perchè non ho capito il contenuto.Confesso candidamente che non ce l'ho fatta,seppure al mattino io sia di solito abbastanza vispo,a leggere tutto l'intervento di Raffaele,anche perchè non ne ho necessità: ne parliamo da anni,di persona,il che riduce i tempi,facilita la comprensione dei contenuti,migliora i rapporti umani ecc...ecc...Ciò non toglie che altri tipi di comunicazione non abbiano una loro utilità,anzi! Credo che Salgado sia uno dei massimi esponenti della professione fotografica mondiale da almeno vent'anni.Attaccarlo o difenderlo,a mio avviso serve a poco...cercare di imparare qualcosa da lui,invece,potrebbe essere di una qualche utilità.L'operazione che,concettualmente, Salgado intraprese molti anni or sono fu,ed è,quella dell'operare per riportare al massimo splendore il "racconto fotografico" il romanzo della vita per immagini,nel quale fu Maestro eccelso W.Eugène Smith.Salgado si svincolò dal "reportage" legato all'evento contingente per raccontare con tempi e metodi che gli consentissero di andare più a fondo nella ricerca,senza la pressione dell'urgenza comunicativa.Un'operazione di grande acume,da grande professionista qual'è,e non ho usato il termine "professionista" a caso.La sua scelta ha permesso a tutti coloro che amano la Fotografia ( e la riflessione che ad essa si lega) di avere tra le mani volumi dove la stessa è elevata alla
massima potenza,come alla massima potenza si collocano moltissime delle sue immagini,straordinariamente icastiche ed innumerevolmente imitate (avrete di certo notato lo scatenarsi dell'interesse fotografico per la mattanza....) Poi come sempre ognuno,nel proprio mestiere,mette in campo il meglio di sè (forse) e se le immagini di Salgado sono "troppo belle" rispetto al tema che trattano pazienza...sempre meglio che sorbirci l'eccentrico di turno che ci propina immagini del c....o,magari scattate con la Olga,tanto per essere "fuori dal coro"
Personalmente sarei onorato se,incontrando Salgado un giorno egli mi proponesse di "portargli la borsa" durante uno dei suoi itinerari fotografici.
Vi saluto
massimostefani
ps: ogni riferimento a persone che calcano le vie del Forum è puramente casuale.
Il mio era un inciso da wikipedia sulle "origini" di Salgado, non per te, che le conosci benissimo, ma per chi magari era stato messo sull'avviso dal tuo post, Nascita in brasile, studi economici, master bel lavoro per la banca mondiale con il quale comincia a viaggiare ed a fotografare, fino a quando decide di lasciare il lavoro e dedicarsi solo alla fotografia.
Io non attacco Salgado, ho anche detto che le sua immagini mi piacciono molto. Se dovessi regalare un libro di fotografia ad un amico non fotografo sceglierei certamente salgado (perche' alla fine si rifa' a stili classici anche della pittura e non ha bisogno di nessun filtro per essere capito od interpretato). Detto questo le sue immagini, per la mia vita fotografica, mi lasciano freddo, ma del resto sono tanti i grandi di cui non ho interesse a seguire le orme. Considera anche che non amo viaggiare, non ho mai letto o visto qualche cosa che mi abbia fatto desiderare di andare via, e anche questo conta, nelle mie scelte.
mauro ruscelli ha scritto:Il mio era un inciso da wikipedia sulle "origini" di Salgado, non per te, che le conosci benissimo, ma per chi magari era stato messo sull'avviso dal tuo post, Nascita in brasile, studi economici, master bel lavoro per la banca mondiale con il quale comincia a viaggiare ed a fotografare, fino a quando decide di lasciare il lavoro e dedicarsi solo alla fotografia.
Io non attacco Salgado, ho anche detto che le sua immagini mi piacciono molto. Se dovessi regalare un libro di fotografia ad un amico non fotografo sceglierei certamente salgado (perche' alla fine si rifa' a stili classici anche della pittura e non ha bisogno di nessun filtro per essere capito od interpretato). Detto questo le sue immagini, per la mia vita fotografica, mi lasciano freddo, ma del resto sono tanti i grandi di cui non ho interesse a seguire le orme. Considera anche che non amo viaggiare, non ho mai letto o visto qualche cosa che mi abbia fatto desiderare di andare via, e anche questo conta, nelle mie scelte.
Non potevo sapere se era o non era per me,vista la mia scarsissima conoscenza del'inglese.Non ho nemmeno mosso particolari accuse,nè a te nè a nessun alto, visto che si è già ampiamente dibattuto su Salgado,e su di un certo tipo di fotografia.Poi mi rallegra molto la scelta di Salgado,sulla quale varrebbe la pena di riflettere,di mollare baracca e burattini,magari con tutte le prospettive per un'ottima carriera, per
andare a fare il fotografo,mi rallegra perchè questa scelta ci ha permesso di avere un Salgadoe non c'era la certezza di un eventuale sostituto.Sul fatto che le sue immagini ti lascino freddo........come dice Gaber,i pareri..ognuno c'ha i suoi.