Leicaflex: su richiesta di Rush e ... una domanda a Cesare.

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Rush mi ha chiesto di recuperare uno scritto che avevo postato su Leicapassion e qui lo riporto.

Leicaflex: il colpo di fulmine.

Quando ero studente universitario, durante le vacanze estive, fra la sessione estiva e quella autunnale di esami, spendevo il mio tempo viaggiando con la mia fidata Nikkormat ftn e fotografando un pò di tutto da turista tipico .
Avevo acquistato, non senza sacrifici, la Nikkormat nel 1973, la mia prima fotocamera, e pian piano che aumentava la mia esperienza si delineavano i pregi e i difetti di questa affidabilissima fotocamera.
Erano tempi durante i quali divoravo le riviste fotografiche: Tutti Fotografi, Progresso Fotografico, Il Fotografo, Photo ecc e allargavo il mio orizzonte culturale sia nell’arte fotografica che nella tecnica fotografica; fra l’altro sviluppavo una particolare attenzione per le attrezzature fotografiche, i cataloghi mi davano una sottile emozione quanto le “furtive riviste di Playboy” per citare Sante.
Erano i primi di settembre del 1975 ed in attesa di prendere un treno passeggiavo da solo per la Banhoff Strasse di Monaco di Baviera quando scorsi un negozio di fotografia che aveva innumerevoli vetrine illuminate.
Mi fermai ad ammirare, vi erano Hasselblad (il mio sogno irraggiungibile!), Nikon, Canon, banchi ottici immensi, Rolleiflex, tutte le marche più prestigiose dell’epoca.
Improvvisamente rimasi appiccicato alla vetrina, in alto campeggiava una bellissima reflex 35 mm mai vista, la marca mi era sconosciuta, la scritta, molto piccola ed elegantissima sul pentaprisma, era Leicaflex. Fu un colpo di fulmine!
Dalla mia memoria autistica emergono 4 cifre: 2.600 che suppongo fosse il costo in D.M., 650.000 suppongo il costo in £ da me calcolato, 1.850 che suppongo fosse il costo della Nikon F2 (altro mio mito) che avevo assunto come paragone, 460.000 la conversione in £ da me calcolato. £ 650.000 all’epoca equivalevano a circa 4 stipendi medi, ovvero a circa 6.000 Euro di oggi.
Il nome aveva una vaga assonanza con fotocamere di secondo piano dell’epoca, ma il prezzo la accreditava come uno strumento di qualità maniacale oltre che professionale, nonostante non avessi nè quattrini nè lavoro decisi che un giorno sarebbe stata mia!.
Negli anni a seguire mi documentai molto su questa fotocamera, collezionai articoli e Brochure, fra l’altro opuscoli veramente accattivanti in formato quadrato, e finalmente nel 1988, con la mia situazione economica completamente diversa, varcai la soglia di un negozio bolognese ed acquistai una Leicaflex SL in ottime condizioni alla cifra di
£ 900.000. Nonostante sapessi tutto dell’acquisto, passai giorni ad esaminarla, a provare lo scatto a vuoto, a verificare l’esposimetro ed anche ad annusarla, in quanto tutto era diverso dalla Nikkormat che avevo appena venduto.
Con questa fotocamera ed una R4s mi sarei aggirato per i torrenti appenninici applicando il sistema zonale appena appreso.
Mi sono chiesto perchè questa fotocamera mi avesse così stregato, la risposta è stata: LA BELLEZZA.
La mia generazione è stata segnata dal design razionalista, figlio della visione ottimistica della tecnica e della storia, del ruolo sociale del bello, per sintetizzare della BAUHAUS di Gropius e sopratutto della sua evoluzione scandinava degli anni 50. Io personalmente, sono rimasto legato per sempre ad un design trovato, non creato, come la musica di Mozart, ad una forma naturale, come una formula matematica di Max Plank, che una volta trovata rende inimmaginabile una forma diversa, e che metta i nostri sensi in accordo armonico con la natura .
La funzione trova naturalmente la sua forma, l’uomo deve solo tradurla in disegno.
Se io traduco le mie preferenze estetiche nel settore delle attrezzature fotografiche e immagino l’idea della reflex come si può pensare l’idea del fungo o della mela, quell’idea si materializzerebbe nella Leicaflex!
Il corpo è smussato sui fianchi e si adatta quasi perfettamente alla concavità fra pollice e indice, non ferisce lo sguardo con spigoli vivi, inoltre lo spessore notevole, dovuto alle scelte tecniche perseguite, si armonizza con il pentaprisma, togliendo pesantezza a quest’ultimo.
La leggera inclinazione in avanti dei bordi laterali, dove è incernierato e serrato lo sportello, elegantissima scelta asimmetrica, riduce l’impressione di eccessiva pesantezza. La calotta del pentaprisma, invece, ha sagomature spigolose, però convergenti se viste in pianta, che ricordano la forma del cristallo, cioè denuncia non solo la funzione, ma anche il materiale (cristallo) che è peculiare nel progetto reflex.
Quello che commuove nel disegno è la ricerca pervicace, testarda, estrema, della perfezione nelle finiture, conseguenza di una cultura idealistica impregnata di trascendenza e passione, tipica della nostra storia millenaria.
Questa passione e idealismo è la cerniera di raccordo e di comprensione fra il mondo germanico e quello greco-latino, ma più specificatamente italiano, che altrimenti sarebbero a mio avviso opposti e incomunicabili.
Nella Leicaflex esiste un carter interno (questo mi hanno detto) sul quale sono fissati tutti i dispositivi, liberando il mantello esterno da ogni compito che non sia di protezione, conferendo una fisionomia libera da viti e imperfezioni e uno spessore importante.
Con un complesso di rimandi meccanici interni, il gruppo di comando è coassiale e per praticità e quindi per bellezza è secondo solo a quello della M5 e consente una pulizia di forma sconosciuto ai concorrenti.
Cosa può aver spinto il progettista nel 1965 a creare costosi e complessi contorsionismi meccanici che consentano di avere il selettore dei tempi, la leva di caricamento e trascinamento e il pulsante di scatto coassiali, se non la ricerca della perfezione fine a se stessa; se noi non abbiamo mai visto il Partenone, il Campo dei Miracoli o la cattedrale di Ulm, non possiamo capire!.
Come tutte le cose belle, la Leicaflex ha un aspetto semplice e deciso, da lontano si presenta come un attrezzo da lavoro pesante e rude mentre da vicino è elegante, raffinato, preciso, accurato, mi ricorda in modo speculare la gamba della ballerina che da vicino è potente, grossa, marcata da vene e nervi, e da lontano è la leggerezza, grazia, esilità per antonomasia.
Spesso mi sono chiesto se vi fossero reflex ugualmente belle, ho preso in considerazione la Nikon F2 Titan con pentaprisma semplice, la Canon F1 new Titan, la Contax dal disegno Porsche di Vienna, ecc. ma al termine tutte le ho scartate o perchè troppo spigolose e rozze come realizzate con l’accetta senza arte, o troppo leccate e salottiere, o troppo complicate e asimmetriche: il distacco è una voragine, la Leicaflex è nell’Olimpo, le altre sono terrene!
Mi sono chiesto quale delle 3 Leicaflex fosse la più bella, ma non sono arrivato ad una conclusione e questo dimostra la cosapevolezza con la quale si perseguiva il progetto. La Standard è più bassa ed ha le proporzioni più armoniose, le finiture di metallo cromato come il carter, le levette lavorate al tornio (credo!) come quelle della M2-M3, con un disegno vagamente liberty sono molto preziose. Ma la fotocellula esterna in piena vista ricorda l’assurdità del progetto iniziale che ignora la peculiarità dell’idea reflex. Meglio la Nikon senza esposimetro con la possibilità di montarlo quando serve (quasi sempre!).
La SL è più alta e appare meno proporzionata, le finiture semplificate sono però molto eleganti, il frontale molto semplice è bellissimo, commovente.
Il mirino luminosissimo è dotato solo di finissimi microprismi che la destina come ottimo complemento della Leica a telemetro, ovvero il suo campo d’elezione è la macro e tele fotografia.
La SL2 è ancora più imponente, la scritta lascia il fianco e si posiziona sul pentaprisma rendendo l’aspetto più complicato e importante.
Il tutto è peggiorato dal pentaprisma che si allarga accentuando l’imponenza.
Il profilo, visto dall’alto, è più regolare, senza la bombatura del dorso della SL, meno originale e peggio raccordato, ma elegantissimo.
Se il progetto complessivo è peggiorato le finiture sono però ancora migliori e realizzate sempre in fabbrica senza l’utilizzo di componenti dozzinali acquistate sul mercato da produttori indipendenti.
Una comodissima conchiglia di gomma è accettata sull’oculare, un elegante sblocco di sicurezza del dorso posto vicino alla manovella di avvolgimento consente l’eliminazione di una fascia metallica di sblocco sul fianco che sporcava il disegno,
un meraviglioso ed incredibile pulsantino cromato posto sul pentaprisma, più bello che utile, attiva una luce dentro il mirino.
Nel vetrino di messa a fuoco, nel cerchio di lettura dell’esposimetro è inserito uno stigmometro ad immagine spezzata che consente una grande velocità di focheggiatura con i grandangoli ed i normali ed è meraviglioso nei ritratti con tutte le focali, consentendo una totale autonomia d’uso rispetto alla Leica a telemetro, ma peggiorando l’operatività in macro e con teleobiettivi poco luminosi.
Viene introdotta una cromatura nera, già presente negli ultimi rarissimi esemplari di SL, ancora più resistente allo sfregamento di quella bianca, che riduce l’impressione di imponenza dell’attrezzo, l’aspetto nero è meno accurato ma più struggente.
Una prima conclusione è la seguente: la SL è la più bella, più economica e complementare ad un corredo M, la SL2 è la più completa (ha anche il contatto caldo) e perfezionata, da usare autonomamente sopratutto nel ritratto, ed accetta il 19 mm seconda serie, il più bel grandangolo retrofocus.
Parliamo ora dell’uso.
L’impugnatura è perfetta per chi, come me, ha le mani grandi, il peso aiuta ad avere stabilità nello scatto.
L’otturatore è precisissimo, il funzionamento è assolutamente affidabile, il suono esprime un senso di solidità, di fatale conclusione della nostra decisione, non lascia spazio a perplessità.
La bellezza del mirino è leggendaria, l’inquadratura confortevole, la lettura esposimetrica mediante galvanometro è piacevole e non distraente.
L’esposimetro spot è meno utilizzabile di un semispot sopratutto con il colore, ma quando serve è assolutamente indispensabile.
Ad una Leicaflex si può affiancare un Sekonic a lettura incidente da poche lire, mentre ad un’altra fotocamera occorrerebbe affiancare un esposimetro a lettura incidente e riflessa spot più costoso ed ingombrante.
L’esposimetro della SL è splendido, misura ottimamente le alte e medie luci con precisione e semplicità, posso dirlo avendolo tarato con alcuni Minolta Spotmeter, mentre per le basse luci la lancetta esce di scala ed occorre un esposimetro a mano.
L’esposimetro della SL2, essendo 8 volte più sensibile, legge anche le basse luci, ma avendo un’unica scala è più difficile da usare perchè la lancetta del galvanometro si sposta troppo ad ogni modifica del rapporto tempi-diaframmi. L’esemplare che ho sovraespone alle basse luci e non è pertanto affidabile.
Sante afferma che la SL2 è più delicata della SL, e “Sante è un uomo d’onore”, ma io l’ho usata per 17 anni senza il minimo inconveniente, mi è anche sciaguratamente caduta sul pavimento di un albergo ed in quella occasione non ho visto nè modifiche di funzionamento nè ammaccature (era protetta da mezza custodia), pertanto devo dire che è robustissima.
Ora esaminiamo la fotocamera dal punto di vista più razionale e meno emotivo.
L’anima idealista che ispira il prodotto Tedesco non contempla alcuni parametri che invece sono fondamentali nel concetto di perfezione giapponese, che discende dalla visione Zen, e che è tradotto commercialmente in “Qualità totale”.
Ovvero mentre in occidente perfezione è una tensione trascendente e direzionale, praticamente irraggiungibile, nella spiritualità orientale è un equilibrio circolare raggiungibile con la pratica, e in questo equilibrio rientrano i concetti di : umiltà, economicità, razionalità, praticità.
Mentre la concezione dualista occidentale contrappone la perfezione al compromesso, quella orientale non riconosce il compromesso, la perfezione è il raggiungimento di quell’equilibrio dei vari aspetti definito a priori, non esiste il buono e il cattivo, ma l’armonia fra peso e leggerezza, costo e durata ecc.
E’ l’ipotesi progettuale che definisce i termini di perfezione.
Per esempio una Olimpus OM1 di 500 gr è perfetta quanto una Nikon F2 di 800 gr, nonostante che la prima sia fatta per durare 50.000 scatti e la seconda 500.000.
Le due ipotesi progettuali di partenza sono diverse e brillantemente realizzate entrambe.
Nel caso della Leicaflex dove si è peccato di presunzione?
La mancanza della levetta di sollevamento dello specchio, presente in tutte le fotocamere giapponesi serie, è stata una scelta che ha comportato una semplificazione costruttiva e poggia sulla presunzione di aver ammortizzato lo specchio in modo perfetto. Ciò non è stato purtroppo vero, quando si montano teleobiettivi, i tempi da 1/30”a 1/2” sono proibitivi. Per eliminare ogni effetto di micromosso ho dovuto zavorrare un cavalletto di circa 2,5 Kg con ulteriori 10 Kg, e questo l’ho fatto con la SL2 che è meglio ammortizzata della SL. E pensare che con la umile Nikkormat era sufficiente sollevare lo specchio e con la FM2 utilizzare l’autoscatto!
E’ assolutamente vero che l’intercambiabilità del vetrino di messa a fuoco comporta la sporcizia perenne del mirino, ma questa possibilità è importantissima.
Focheggiare con un grandangolo è problematico con la SL, con un macro è problematico con la SL2, allineare le linee in architettura non è semplice con entrambe. Già nel 1960 con la Nikon F, cambiando vetrino, si utilizzava sempre il mirino e il vetrino giusto per qualsiasi tipo di fotografia.
La mancanza della possibilità di motorizzazione relega la Leicaflex ai margini dei settori fotografici dove la reflex 35 mm eccelle, ovvero la fotografia sportiva, naturalistica, scientifica, fotografia a raffica comandata a distanza ecc.
Non avendo la flessibilità tipica della reflex è costretta ad operare negli ambiti di fotografia più generica ponendosi in concorrenza sia per costo che per peso con fotocamere di medio formato, nel confronto ne esce naturalmente perdente.
La costruzione di una versione speciale motorizzabile, e priva di autoscatto, che necessariamente è risultata di piccolissima tiratura, rientra in un’ottica assolutamente miope e lontana dalla realtà.
Per la “qualità totale” la Leicaflex è un prodotto di pura follia, inconcepibile per la lucidità giapponese, non rispetta i criteri elementari, è lontanissima da qualsiasi ipotesi di perfezione.
Che dire per concludere.
Resta un rimpianto, la Leicaflex non ha avuto una evoluzione, un erede, la Leitz schiacciata dai debiti, priva di idee, invece di assimilare e rielaborare l’armoniosa filosofia orientale, invece di rilanciare la sacralità del gesto produttivo ripetitivo, preciso e scrupoloso, ha in parte ripudiato l’idealismo che la animava e che era il suo vero capitale con la scusa di incompatibilità con le leggi del mercato e in parte l’ha utilizzato cinicamente come richiamo pubblicitario (il famoso made in Germany).
Quella che era la sua forza, ovvero l’onestà e rigidità intellettuale legata, anche ottusamente, alla sostanza, è diventato il suo limite, l’impossibilità di avere una visione umanistica capace di contrastare il degrado morale.
Il mondo industriale attuale difficilmente riesce a progredire perchè relega il lavoro ai margini del suo interesse, perché troppo faticoso, impegnativo e rischioso, e con margini limitati di guadagno, e vive più sullo sfruttamento di una rendita di posizione, il Brand, il marchio, fino a svuotarlo di valore. Tutto è mito ed apparenza ed il design rientra nel linguaggio dell’illusione. Il rimpianto che provo non si rivolge tanto alla tecnologia analogica, nè ai bei tempi andati, ma ad un’etica che garantiva progresso e futuro.
Cosa può servire oggi una Leicaflex? A mio parere ha perso molta più operatività di una Leica M, proprio perchè si rivolge ad una fotografia più specialistica, e la ritengo destinata sopratutto al collezionismo perchè è la massima testimonianza della dignità del lavoro umano, della ingenua onestà, dell’epoca della massima perfezione meccanica e della scoperta di massa dell’arte fotografica, perchè è il ricordo di gioventù, perchè si compera ad un prezzo che è circa un quindicesimo del suo costo attuale di costruzione.
La sua docilità con chi ha talento, e l’affidabilità molto simile alla spada del cavaliere o al violino del musicante la destinerebbe però, ancora oggi, ad essere il nobile strumento di un racconto poetico agreste, come quello di Luciano Casa.
Se per un attimo collochiamo la nostra vita in uno spazio temporale più dilatato, fatto di ricordi, miti e racconti, dove gli oggetti hanno una storia e racchiudono l’anima di chi li ha costruiti, e si ereditano da un maestro e si consegnano nelle mani di un degno allievo, allora la leicaflex trova il suo posto, soprattutto per lasciare immagini immortali.

A questo punto sorge spontaneo un quesito per Cesare T.: quanto sono grave!? :cry: Solo il Doc può farmi una vera diagnosi! :?
Mario Andreoli
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Io non sono medico, ma ti dico che sei gravissimo...

...ed è la nostra fortuna!

Grazie ancora

Ciao
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mauro ruscelli
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Quasi incurabile, Mario, ma va bene cosi'.

Bellissimo, grazie.
Mauro

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sicuramente la SL è uno dei punti più alti raggiunti dalla Leitz negli apparecchi fotografici (reflex o telemetro che siano), con un mirino a tutt'oggi stupendo, ma come altri apparecchi di qualità assoluta ( cito non a caso la Contarex S) rimane giustamente un prodotto elitario, come sempre più compreso ed apprezzato dopo l'uscita di produzione, in questo in buona compagnia della M-5, ad esempio, o della Contax G2, oggi richiestissima. E' tipico degli appassionati Leica rimpiangere il tempo passato, ma in quel mitico tempo (passato) erano pochissimi gli appassionati che apprezzavano i prodotti Leica! tanto è vero che la casa, pur producendo tra i migliori prodotti di sempre, ha rischiato di chiudere.
viene da chiedersi quanti anni debbano passare perché i leischisti possano comprendere quali siano i veri prodotti Leica di qualità. E le recenti polemiche sulle ottiche asferiche lo dimostrano, visto l'eccezionale qualità di questi obiettivi: se domani dovessero uscire tutti di produzione assisteremo probabilmente ad una serie di pianti degni di una famiglia di ....coccodrilli!
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luca rubbi
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PIERPAOLO ha scritto:
[...]

viene da chiedersi quanti anni debbano passare perché i leischisti possano comprendere quali siano i veri prodotti Leica di qualità. E le recenti polemiche sulle ottiche asferiche lo dimostrano, visto l'eccezionale qualità di questi obiettivi: se domani dovessero uscire tutti di produzione assisteremo probabilmente ad una serie di pianti degni di una famiglia di ....coccodrilli!
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Bellissimo pezzo Mario!

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proprio a proposito di passatismo Leica propongo un caso concreto e da riflessione:
- a chi chiede quale sia un Summicron 35/2 da consigliare, la maggior parte degli esperti si spertica di lodi sulla prima versione a 8 lenti, disdegnando l'ultima asferica, perché poco Leica.
-scelta legittima ma:
- Leica ha già venduto tutti i Summicron 8 lenti e quello che ci poteva guadagnare lo ha già incassato
- viceversa per ogni 8 lenti cercato sul mercato dell'usato venderrà un 35 asferico in meno
- ne consegue che il leichista sta affondando Leica consapevolmente, privandola di un incasso che invece la società necessita come di un sorso d'acqua per un Tuareg
- alla fine se Leica é in difficoltà di chi è la colpa?
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mauro ruscelli
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Questo discorso e' in parte vero, infatti molte ditte usano materiali che durano POCO proprio per indurre ad un ricambio frequente, ma allora dovremmo tutti rimpinzarci di M8 e summarit?

Credo che una casa che vuole sopravvivere debba capire i segnali del mercato, se gli utenti leica vogliono l'8 lenti, ma cazzo facciamo un 8 lenti, magari da vendere in parallelo all'asferico.

Non ci vuole un genio, ed il marketing serve a questo.
Ultima modifica di mauro ruscelli il gio dic 06, 2007 12:28 pm, modificato 3 volte in totale.
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evidentemente non é poi così evidente, perché attualmente il problema delle ottiche Leica si è spostato sul prezzo, dopo l'erosione del mercato da parte dei C/V ed anche degli Zeiss, che propongono una costruzione molto accurata ed una resa simile ai Leica ad un prezzo che è almeno di un terzo in meno: da qui la serie Summarit, già esposta al pubblico ludibrio perché non abbastanza Leica. Il risultato é sempre lo stesso: il passatismo dei leicisti é irremovibile oggi come negli anni settanta, quando la M5 veniva considerata una boiata in confronto alla M4 con Leicameter, ed invece era una grandissima macchina che ha dissanguato la casa. La R3 è stata considerata per anni la cenerentola delle reflex solo perché fatta in collaborazione con ....Minolta! ma come si fa a mettere del sangue giapponese in un'autentica creatura di stampo tedesco.......è stata veramente una vergogna, ecc ecc e così via!
Spesso Puts é stato aspramente criticato perché per lui 'l'ultimo é il migliore': è vero ma fa gli interessi della casa, ma se domani Leica chiude, tutti quelli che hanno preferito (pur legittimamente) una Leicaflex ad una R9, hanno contribuito alla chiusura. Per questo Leica è sopratutto una marca collezionistica: perché i collezionisti l'anno sempre aiutata, i fotografi o semplici appassionati no. Quando sui forum si ironeggia sui ricchi collezionisti che comprano questo o quel modello celebrativo non si comprende appieno che sono proprio quelle vendite a tenere su la casa di Solms e non certo i Summilux seconda serie (n/matr. 1.800.ecc)
Questa è la vera realtà di Leica.
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Purtroppo credo che nemmeno la storia rivalutera' le doti della M8 che non e' al passo con le altre macchine leader di mercato.

Ritengo invece che il DMR sia stato geniale come concezione, affossato dai litigi con Imacon (che nel frattempo era stata acquisita da Zeiss) e dal solito prezzo proibitivo. E' la cosa piu' simile a quello che ci si dovrebbe aspettare da una casa come Leica. Come il corpo R8/R9 ancora cosi' "nuovo" come design.

Innovazioni che tutti hanno paura a fare invece sul fronte M.
Ultima modifica di mauro ruscelli il gio dic 06, 2007 12:29 pm, modificato 1 volta in totale.
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PS ma questo otto lenti e' meglio del IV serie?
Io avevo sempre capito che quest'ultimo fosse il migliore.
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già la M7 è stata per Leica una rivoluzione, perché ha cambiato l'otturatore che era la bandiera tecnologica di Leica dal 1925 (o anche prima se consideriamo i prototipi). Più di tanto nella M non è possibile fare, perché la sua forza risiede nel minimalismo e nella qualità costruttiva, non nelle funzioni.
Ora, poiché per molti la M migliore rimane la M3, Leica dovrebbe riproporre la M3 rifatta per i prossimi 100 anni ad un prezzo, diciamo di 5000 Euro: quante ne venderebbe?
Nikon ha riproposto le bellissime S3 ed SP e sono state un fallimento commerciale: la S3 era partita sui 13/14 milioni ed ora si trova sui 2500 Euro. Le versioni commemorative della M6, tanto vituperate hanno fatto incassare alla casa molto più di tutte le M6 normali.
La verità e che avere a che fare con i leichisti é difficile anche per Leica: tutti si aspettano un ritorno messianico, ma in che cosa?
Pierpaolo

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8 lenti e VI serie: lo vedi che anche tu sei un irredemibile passatista? goditi l'asferico e vivi felice.......
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PIERPAOLO ha scritto: 8 lenti e VI serie: lo vedi che anche tu sei un irredemibile passatista? goditi l'asferico e vivi felice.......
:D

Pero' anche l'asferico l'ho preso usato.
Mauro

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si va bene, però Leica con l'asferico ha incassato denaro fresco, con gli altri Summicron non ha incassato niente negli ultimi 10/20 anni, il discorso gira sempre su questo, e i Summarit dimostrano che Leica spera di guadagnare più sul numero a prezzi ribassati che sul singolo a prezzi alti.
Pierpaolo
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Mario,
sei un idealista inimitabile!

Mi hai fatto venire voglia di tirare fuori la mia Sl,
almeno per ammirarla e coccolarla un po’. :-)

Grazie,
Donatello

- - -

P.S.
Pierpaolo,
verissimo quello che dici sul passatismo dei leichisti.
Ma se una M3 fatta oggi dovrebbe essere proposta a 5.000 euro o più,
credo che un 35 8 lenti potrebbe essere proposto ad un prezzo uguale e/o leggermente inferiore a quello del 35 Cron asph.
A quel pun to sarebbe interessante vedere quanti passatisti sarebbero disposti a comperarsi simile obiettivo.
Ah, dimenticavo,
le lenti non sono più quelle di una volta! :-)

Eppure un 50 Lux I serie anche con le lenti di oggi lo comprerei ben volentieri;
ma forse non saremmo in molti a farlo...
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