Le età difficili

Sezione Principale - Fotografie e Passioni

Moderatori: NatRiscica, maucas, simone toson, luca rubbi

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carlo riggi
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mrgilles ha scritto:è inquietante.. non riesco a fare a meno di guardarla. chissà se lo girerà quell'angolo..
Già, nessuno può prevederlo.

Grazie Stefano!

Ciao
Carlo
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marco palomar
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mi piace la foto ma ancora di più la spiegazione che ne dà Carlo
ma guarda un po'
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carlo riggi
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marco palomar ha scritto:mi piace la foto ma ancora di più la spiegazione che ne dà Carlo
Grazie Marco! In effetti ho un po' di conflitto tra me e me: fossi bravo a fare foto quanto me la cavo a pensarne sarei un discreto fotografo. Invece sono solo un passabile pensatore di fotografia... ;-)

Ciao
Carlo
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Vittorio
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la foto in effetti ha mosso interessanti spunti di riflessione ,anzi direi di spessore assoluto.

L'importante pero' che in questo tipo di operazioni non si scada poi nella negazione del mezzo.

Ricordiamoci sempre che siamo fotografi.

ps: per me lo sfocato e' ecessivo,il messaggio comunque arriva forte e chiaro,e cio' crea una crepa nelle mie convinzioni fotografiche....mannaggia a Carlo e ai suoi esperimenti paraprofessionali..... (siam tutti cavie lo sapete vero??)
:-)

ciao

Vic.
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carlo riggi
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Vittorio ha scritto:(siam tutti cavie lo sapete vero??)
Ma Vittorio, potrebbe mai venirmi in mente di fare una cosa simile?.... :smt115

Ciao
Carlo
otto
ulyssesitaca ha scritto: Mi sto chiedendo infatti di questi tempi, se il proliferare di una certa sintassi fotografica più accennata, aquarellata mi vien da dire, che suggerisce una emozione invece che raccontarne una, che accenna a un fatto senza sentire il bisogno/dovere di descriverlo pienamente (e penso soprattutto al reportage) non sia qualcosa di più che una necessità di superare gli antichi stilemi.
Voglio dire che, in un mondo in cui i fatti, cosi come i concetti, vengono descritti praticamente quando accadono, e si ripetono e si accavallano, battendosi reciprocamente sul tempo e lavorando ognuno alla interpretazione dell'altro, sembra che descrivere qualcosa non serva più, diventi quasi una scontata linea di partenza anzichè l'arrivo come era nel reportage degli anni 50-70.
Insomma, mi pare di vedere, complice di spicco anche il terribile, inarrestabile naufragio della ideologia come linfa vitale del metabolismo dello spirito, che la fotografia sta passando velocemente dalla funzione preponderante di descrizione a quella di suggestione (intesa come suggerimento).
carlo riggi ha scritto: Il passaggio da una fotografia descrittiva ad una suggestiva, come tu sottolinei, è proporzionale alla pervasività visuale della nostra società multimediale, in cui tutto è dato in tempo reale. Credo che tu sia nel giusto anche quando riferisci questo fenomeno, magari non come causa diretta, all'indebolimento delle ideologie. Ma forse direi anche ad una visione meno assolutista delle stesse leggi della scienza, pensiamo alla relatività, alla fisica quantistica, a tutte le teorie che hanno accentuato il problema dell'indeterminatezza dell'esistenza.
Se ciò costituisca un tradimento delle premesse fondamentali della fotografia non saprei dire. Probabilmente ne costituisce un'espansione, visto che la funzione originaria della fotografia oggi sembra, ahinoi, assolta più efficacemente dai videofonini...
Una fotografia che evoca lancia un messaggio più ampio ma meno univoco di una fotografia che descrive. E' espressione di un autore che non vuole asserire una verità ma vuole condividere una gamma di emozioni, una storia aperta.
[...]Il reportage fino a ieri si occupava di ciò che di sconosciuto c'era fuori di noi, oggi si occupa anche di ciò che di sconosciuto c'è dentro, all'autore e al fruitore. Emozioni che diventano parte integrante della foto stessa e contribuiscono a farla vivere.



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otto.
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Nikita
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Difficile aggiungere altro a quanto scritto da Raffaele e da Carlo.
Le mie considerazioni le esprimo solo per il gusto di partecipare ad una discussione interessante, a cui sono arrivato con netto ritardo.
Raffaele ha espresso una lucidissima analisi sulla fotografia, analisi che condivido pienamente.
E’ noto a tutti: la fotografia risponde ad una precisa grammatica e sintassi; poi ognuno sceglie il linguaggio e lo stile che gli è proprio. Ho sempre creduto che il reportage dovesse essere un genere a cavallo tra il genere drammatico e quello didascalico, ovvero rivolto a registrare i fatti accaduti come testimonianza inoppugnabile, per dar modo di informare, di far conoscere e di far capire. Insomma bisognava tener conto delle esigenze di un vecchio adagio: se un albero cade nella foresta e nessuno e lì a sentire, siamo sicuri che l’albero fa rumore ?
Le foto di Atri, e non solo, mi hanno fatto avvertire nettissima la sensazione per cui il reportage oggi sia sempre meno didascalico e maggiormente rivolto a comunicare i fatti attraverso le emozioni, le emozioni dei soggetti fotografati, in maniera sempre più coinvolgente, sconvolgente.
Da un lato apprezzo l’abilità del fotografo nel cogliere l’atmosfera vissuta sul campo e la qualità di certe immagini, dall’altro un’immagine che agisce sulla sfera emotiva mi lascia vacillante.
Nell’arte l’emotività la ritengo essenziale; in fotografia, soprattutto quella di reportage, agire sull’emotività delle persone può essere rischioso, oggi molte immagini passano senza aver subito nessun tipo di controllo; forse le stesse guerre fotografate sono frutto di decisioni prese in preda all’emotività.
Ma non è ancora tutto.
Oggi la verità è sempre relativa ad un preciso punto di vista, così come argomentava Carlo; e considerato il bombardamento di immagini a cui siamo sottoposti, l’emotività su cui fanno leva, questo potrebbe rappresentare un elemento perturbante.
Al tempo stesso è necessario ammettere che la bellezza di un’immagine risiede nella sua capacità di andare oltre l’evidenza dei fatti.
La bellezza dell’immagine propizia un “ars maieutica” nei nostri confronti e tira fuori ricordi, emozioni, immagini, letture, sapori, suoni ancestrali, questa è ancora la sua potenza.
Pensate alla scena del film Ratatouille, quando il critico assaggia il piatto e i sapori dello stesso gli ricordano la madre, i suoni, il fatto di essere stato bambino e le sensazioni correlate a quello stato, non si stava solo nutrendo, ma stava viaggiando ed il viaggio era nel tempo (allo stesso modo funzionano le petite madeleine di Proust, lo studium e il punctum di Roland Barthes).
Questo credo sia il motivo per cui ricordiamo le fotografie più evocative, più emozionali, più inclini a farci vivere déjà vu.
Forse è questa la ragione per cui i reportage d’autore battano ormai altre strade, quelle delle suggestioni, abbandonando per sempre quelle del “just in time”.
In questo senso e direzione mi sembra di poter e dover riconoscere anche a me alla immagine di Carlo un valore molto alto.

nik
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Vittorio
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Io credo che il valore alto dell'immagina sia effettivo solo quando il messaggio intrinseco e' alla portata di tutti,"scrivere" in modo forbito e' solo un'esercizio culturale da radical chic,ben diverso e' adottare un linguaggio universale che sia alla portata di tutti,di fatti tutte le immagini famose piacciono sia ai fotografi che alla gente comune,coniugano,forma e mesaggio in modo sublime.
imho

Vittorio
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mauro ruscelli
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premesso che per me e' forse un pelo troppo sfuocata, applaudo alla discussione che ne e' emersa.
Credo che, lasciando perdere il crollo delle ideologie, sia molto vero il fatto che si sta aprendo un divario nel mondo della fotografia, questo per la rapidita' e la grande diffusione di immagini anche non professionali, ormai l'evento e' sempre narrato (almeno a livello elementare). Se il professionista o comunque chi mastica parecchio di fotografia interpretasse il reportage solo come racconto chiaro dei fatti sarebbe, oggi, sempre in ritardo, ci sara' sempre un amatore o un cellulare hanno gia' soddisfatto il bisogno immediato di immagini anche della rivista piu' prestigiosa. Quindi non resta che lasciare il terreno della semplice cronaca per interpretare i sentimenti per suscitare pietas, o per schierarsi apertamente, per questo ci sono i neri profondissimi, le vignettature le holgate ecc.

Devo contraddire il pensiero di Vittorio, che era anche il mio pensiero qualche anno fa', purtroppo lo vedo bene in me stesso, piu' vedo fotografie piu' "studio" fotografie piu' cambia il mio modo di leggere e capire le foto, anche nella musica non e' cosi semplice definire cio' che e' arte, e cio' che piace al grande pubblico non sempre lo e'.
Mauro

Instagram: @mauroruscelli
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Vittorio
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Rush se devo stare al mio gusto personale di fotografia,dopo 30 anni di pratica,lettura di libri,mostre,scambi culturali con fotografi ,vivrei in una "nicchia " fine a se stessa.
la Cultura deve essere sempre di grande portata,altrimenti si arrotola su se stessa.

E' molto difficile secondo me in fotografia esprimere un concetto chiaro,condensando velatamente tutti i crismi che la tecnica ti puo' offrire per esporre il tuo pensiero in modo comprensibile ai piu',ed e' per questo che spesso si usano stampelle letterarie o peggio forbite elucubrazioni mentali.
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carlo riggi
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Nikita ha scritto: Al tempo stesso è necessario ammettere che la bellezza di un’immagine risiede nella sua capacità di andare oltre l’evidenza dei fatti.
Esatto. Ma in un certo senso è vero anche il reciproco: la capacità di un'immagine di andare oltre l'evidenza dei fatti dipende dalla sua bellezza.
Io credo che la "bellezza" (intesa in senso lato, come armonia, drammaticità, originalità, equilibrio, ma anche "squilibrio" nel senso di sovvertimento di canoni stantii, ecc.) sia veicolo di contenuti che, altrimenti, resterebbero bloccati da una sorta di filtro.
In un'immagine iperrealistica (il primo piano di un arto mozzato in seguito all'esplosione di una mina) può passare facilmente il dato, ma difficilmente passa l'insieme delle emozioni, bloccate dai meccanismi difensivi della mente umana (corollario: un eccesso di visibilità ci rende più semplificati, banali, massificati, plasmabili e gestibili come gregge - Qualcuno ha fondato le sue attuali fortune su questo...). Un'immagine insatura lascia spazio all'elaborazione, che è poi quella che fa sì che l'arte (o anche solo la comunicazione) faccia il suo corso.
Se pensiamo alla nostra vita, noi non ricordiamo con maggiore vividezza gli eventi più "importanti", ricordiamo quelli più emozionanti. Perché sono costantemente corroborati dai nostri stessi processi mentali che li tengono attuali dentro di noi.
Vittorio ha scritto:Io credo che il valore alto dell'immagina sia effettivo solo quando il messaggio intrinseco e' alla portata di tutti
Vittorio, credo che in parte tu abbia ragione. L'equivoco, però, può risiedere in quel "alla portata di tutti". Se intendi con ciò che un'immagine debba essere letteralmente "comprensibile" dico che non sono d'accordo.
Un'immagine può ghermire anche senza essere minimamente decodificabile. Si può restare muti di fronte a un'esperienza enigmatica, non riuscire neppure a raccontarla, tanto meno a commentarla, eppure esserne enormemente arricchiti. E' la "bellezza", come la intendo io. Che a volte può essere estremamente sofisticata - radical chic, come dici tu - eppure alla portata di tutti. Perché tutti siamo in grado di emozionarci, anche se non tutti sappiamo parlare altrettanto bene delle nostre emozioni, o sappiamo abbandonarvici.

Ciao
Carlo
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Gianluca.Monacelli
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Località: ROMA
vero tutto.. mi convince il concetto 'dell'insaturo'.. L'oblio e le responsabilità ci fanno perdere di vista o meglio sfuocano quella realtà che prima di loro abbiamo vissuto.. eppure eravamo noi loro, un tempo..
Ciao a tutti, Gianluca
http://www.flickr.com/photos/21673430@N06/
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andrea_c
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Iscritto il: gio lug 30, 2009 11:30 am
Chiedo perdono se rispolvero un topic ormai vecchio, ma devo proprio scriverlo: per me è una foto stupenda.
[b]πάντα ρει[/b]

[size=92][url=http://unfinishade.typepad.com/photo/][i][color=#333333]- le mie foto -[/color][/i][/size][/url]
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carlo riggi
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Grazie Andrea, gentilissimo.

Ciao
Carlo
agrisi
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Iscritto il: mer set 23, 2009 12:58 pm
io scusatemi ma ho letto tutto ma se tutto questo gran parlare per bene in italiano per poi andare a finire al contenuto e la forma non è che sia poi tutto un gran pensiero. E poi si sa che le foto tutte sfuocate o mosse sono come le nuvole meno ci si capisce e più si trovano dentro gli indiani a cavallo, mica da stare tanto lì.

scusatemi se scrivo come penso
buongiorno
ALESSANDRO
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