La fotografia mente

Sezione Principale - Fotografie e Passioni

Moderatori: NatRiscica, maucas, simone toson, luca rubbi

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mauro ruscelli
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Il peccato originale della fotografia è un dilemma: se io faccio una foto a te, la foto è mia o è tua?
ho usato questa foto per accompagnare il dilemma perché in questa foto succede un fatto strano: i due personaggi ritratti sono mio zio e mio cugino, che conosco da quando sono nato e ai quali sono molto affezionato, e specie per quanto riguarda il secondo si tratta di due persone estremamente solari, il cui volto difficilmente sembra adombrato da preoccupazioni o cattivi pensieri. Insomma ho inventato due parenti che nella realtà, in media, non esistono: potere della fotografia, di testimoniare e al contempo offuscare la realtà. Ri-velare, come direbbe qualcuno

Credo che questa domanda posta da Marco Palomar vada di pari passo con il dialogo che ha preso avvio su altri tread..

Ebbene, si cerca sempre di dividere la tecnica dall'emozione, l'io dal te, il soggetto dall'oggetto, ma in realta' la fotografia MENTE SEMPRE.

La vera discriminante e' SE IL FOTOGRAFO MENTE, questa e' la vera domanda.

Non invento niente, Massimo Stefani ha da sempre nella sua firma la frase di Avedon che andrebbe scolpita nella pietra:

Tutte le fotografie sono reali,nessuna è la verità.
R.Avedon


Spiego meglio il mio punto di vista con una foto, pellicola (cosi' victor e' contento) 90/2 svitabile leitz (cosi' anche il feticismo e' soddisfatto).

Immagine
L1016115 di mauroruscelli, su Flickr

Mia figlia stava ridendo, era stufa di farsi fotografare e si e' messa le mani davanti alla faccia ed e' scappata per farmi smettere. Non c'era ansia o angoscia, un normale pomeriggio...

Eppure...

E' da tempo che ho dei conflitti con mia figlia, che non ci troviamo e che per un motivo od un altro (in realta' sempre lo stesso) abbiamo dei forti conflitti. Per me questa foto e' diventata il simbolo di un anno di rapporto difficile con mia figlia. Amo questa foto e mi fa stare male, anche se so' come e perche' e' stata scattata.
La foto di perse' e' una menzogna, e' un evento reale, ma io la uso per rappresentare una MIA verita' MA non quello che e' successo.
Spesso il reportage di grandi fotografi corre gli stessi rischi interpretativi (secondo me), infatti le idee politiche di chi scatta vanno sempre considerate.
Nel mio tipo di fotografia io metto sempre molta soggettivita', a volte troppo, infatti vengo accusato di eccessivo cupore, e raramente, dall'uso dei toni al tipo di inquadratura mi trovo a rappresentare un evento con intento di veridicita', raramente un'altra persona a fianco a me vedrebbe le stesse cose, io USO la realta' per rappresentare un mio discorso interiore.
Mauro

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mauro ruscelli
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Non credo, se sono bravo io ti faccio vedere quello che voglio tu veda.

altro esempio, la folla qui scompare, ero al festival dei buskers a ferrara, strade stracolme di gente, questo sguardo, sospeso, il mio punctum in questo scatto di street... ma era davvero triste? o forse solo stanca e con male ai piedi.
Non interessa piu' la foto diventa "astratta", cosa provasse realmente il soggetto non ah piu' importanza, conta quello che IO volevo rappresentare...

Immagine
2009-09-05-017 di mauroruscelli, su Flickr
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mauro ruscelli ha scritto:

Nel mio tipo di fotografia io metto sempre molta soggettivita', a volte troppo, infatti vengo accusato di eccessivo cupore, e raramente, dall'uso dei toni al tipo di inquadratura mi trovo a rappresentare un evento con intento di veridicita', raramente un'altra persona a fianco a me vedrebbe le stesse cose, io USO la realta' per rappresentare un mio discorso interiore.
Questo che fa di te un fotografo con la F maiuscola perché la tua fotografia è frutto di una ricerca.
Tu con la scelta di questa foto non volevi rappresentare la realtà esteriore ma la tua realtà interiore e la descrizione approfondita del perché di questa scelta è necessaria per capirne il motivo al di là delle scelte stilistiche come i toni cupi.

Provo però a ribaltarti il problema.
Non pensi che in questo caso sia stata la macchina fotografica a vedere per te? Nel senso che quando hai fatto click forse non volevi rappresentare le difficoltà del tuo rapporto con tua figlia ma stavi semplicemente "giocando" con lei.
E stato dopo lo sviluppo che ti sei accorto di una verità che sei riuscito a cogliere solo con la stampa davanti agli occhi.
Quindi siamo così sicuri che la fotografia (se non in questo, in un caso analogo) non sia verità?
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mauro ruscelli
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Non credo sempre perche' e' riduttivo parlare di fotografia solo all'atto dello scatto, poi viene il resto del lavoro, quello piu' difficile, la scelta dell'immagine da condividere da usare, per reve io e Carlo avevamo a disposizione circa 2/300 foto ognuno ed erano gia' quelle frutto di una selezione personale. Distillare un lavoro di una 40ina di foto e quindi dei sentimenti e del discorso che si trasmette e' importante tanto quanto scegliere cosa fotografare.

Che poi la consapevolezza della foto che si sta portando a casa non sempre la si abbia al momento dello scatto e' vero. E' uno dei motivi per cui la possibilita' di vedere subito una foto sul display mi mette a disagio, perche' li per li' sono spesso troppo dentro l'evento per vedere lo scatto oggettivamente, certe foto viste subito verrebbero cancellate perche' sbagliate, troppo diverse dalla realta'..
Mauro

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marco palomar
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e qui torna il tema dell'autorialità.
Se vado a una festa dove tutti si divertono e io mi annoio mortalmente, torno a casa e ne tiro fuori un racconto tra il grottesco e l'allucinato, non sto mentendo: sto dicendo la verità. La mia verità, che comprende sia l'evento per come effettivamente si è svolto (la festa divertente) sia il mio stato di animo di estraneità.
Davanti a un bel paesaggio anche io, come credo Mauro, non amo trarne la cartolina (che non sono capace di fare, come certi per i quali provo solo ammirazione), ma qualcosa di legato più intimamente al mio umore, alle mie sensazioni. Con questo non sto affatto stravolgendo la realtà, ma la sto raccontando dall'unico punto di vista che a me, come a qualsiasi altra persona, è dato: il proprio. C'è un discrimine, non so quanto sottile, tra questo atto di onestà intellettuale, che comprende sia me che la situazione nell'unica realtà possibile, che è la realtà indivisa tra oggetto e soggetto, e la mistificazione. Mistificazione è quella di chi, davanti al paesaggio, lo rende più spettacolare di quello che sia, o anche solo più pulito eliminando con PS qualche cartaccia e qualche filo delle linee aeree; di chi in una manifestazione di individui pacifici isola il bambino che piange o l'unico cretino che brucia una bandiera, qualunque essa sia; di chi davanti a un luogo un po' sporco accentua col grandangolo il cumuletto di spazzatura, facendolo sembrare una montagna; di chi rende la realtà più "sexy" di quanto non sia veramente. Mistificazione è anche quella di chi, per aderire a non so bene quale moda, accentua tonalità depressive che forse neanche gli appartengono. In letteratura è facile a qualunque lettore medio distinguere il credibile dal fantastico, il verosimile dal menzognero, la prosa naturale da quella affettata, il buon racconto dalla spazzatura; non capisco perché debba risultare così difficile in fotografia.
ma guarda un po'
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mauro ruscelli
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Diciamo la stessa cosa, come introdotto nel primo post:
La vera discriminante e' SE IL FOTOGRAFO MENTE, questa e' la vera domanda.

oppure

Spesso il reportage di grandi fotografi corre gli stessi rischi interpretativi (secondo me), infatti le idee politiche di chi scatta vanno sempre considerate.
Mauro

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marco palomar
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nel reportage le idee politiche vanno sempre considerate, non solo quelle del fotografo che, a mio avviso, opera una selezione relativamente blanda degli eventi, ma anche e soprattutto quelle riconducibili ai circuiti di informazione che diffondono le fotografie. Se il contesto in cui appaiono è propagandistico, le foto vengono in qualche misura diminuite nel loro valore.
Non è un caso che sono passate alla storia della fotografia le immagini di Capa, il cui orientamento politico è chiarissimo, pur con tutte le infinite discussioni annesse alla veridicità delle stesse foto; ma mai quelle di un qualunque fotografo "concerned" in Iraq, per quanto spesso visivamente sontuose.
ma guarda un po'
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carlo riggi
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E se invece partissimo dall'idea che la fotografia dice sempre la verità?
Una verità non declinata al passato o al presente, forse neanche al futuro. Una verità contenuta in uno dei tanti mondi possibili, altrimenti inconoscibile, che solo la coppia fotografo-fotocamera, insinuandosi nelle pieghe del visibile, negli interstizi dello spazio-tempo, riesce a far emergere e accreditare come tale.
Ciao
Carlo
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ario arioldi
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Per chi non la conoscesse credo sia istruttivo, oltre che esemplificativo, leggere la ricostruzione, verosimile se non vera, di una foto icona molto famosa, quella di Nick Ut, dove la probabile parziale costruzione scenografica da parte del fotografo e la manipolazione editoriale da parte dell'Associated Press concorrono a trasmettere un messaggio non ingannevole e tuttavia ottenuto attraverso una qualche forma di artifizio prima, durante e dopo lo scatto.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=& ... mA&cad=rja
Buona Giornata,
Ario

http://www.arioarioldi.net
http://www.flickr.com/photos/arioarioldi/
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ryo
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Inizio con il dire che è per discussioni come questa che adoro Photobit.
La questione è una di quelle sulle quali si potrebbe dibattete per millenni, riportando considerazioni ed esempi pratici sia propri che dei “grandi” (Capa e il miliziano, la foto dell’alzo della bandiera a Iwo Jima, Berengo Gardin e il bacio, ecc, ecc, ecc, ecc).
Essendo l’oggetto del tema, in ogni caso, una “rappresentazione” più o meno fedele della realtà, ed essendo questa rappresentazione, per sua stessa natura, molto soggettiva, non è difficile credere che solo agli occhi dell’autore della fotografia (rappresentazione), questa, possa ri-velarsi nella sua “verità” (come a Mauro per la foto della figlia o a Marco per quella del cugino).
Qualunque fotografia, anche la più “tecnica-asettica”, per il solo fatto di essere il frutto di scelte più o meno ben determinate, sarà sempre una “rappresentazione”.
Per assurdo, anche la riproduzione di una carta da test per obiettivi non ci dice “la” verità su quell’obiettivo e su quella stessa carta fotografata. La distanza di ripresa, il diaframma utilizzato, la pellicola, il rivelatore, la stampa…. Tante scelte che contribuiscono a parzializzare la realtà a tal punto che anche una foto così tecnica, che poco avrebbe da lasciare all’immaginazione ed all’interpretazione, non riesce a fornirci “la” verità.
Anche la semplice osservazione della realtà fatta attraverso un vetro smerigliato o un mirino, con le sue cornici, sarà sempre una rappresentazione (ci sarebbero anche implicazioni quantistiche in questo discorso che tocca il principio di indeterminazione di Heisenberg, ma si finirebbe, forse, troppo fuori tema).
C’è qualche cosa, però, che possiamo trarne e che ci dia una sorta di “punto fermo” in tutta questa incertezza?
Io penso che si debba scindere l’”impressione” dalla “realtà” del fatto ritratto, per poter trovare quel “punto fermo”.
Davanti ad una fotografia si potrà sempre dire che: “è la foto di due persone”, “la foto di un tipo armato di fucile”, “la foto di una bandiera e di un gruppo di tipi in uniforme”, “la foto di un uomo e di una donna che si stringono”, ecc..
Quanto all’impressione che deriva dall’osservazione, non si potrà mai avere “certezza”. Oltre all’”Io” del fotografo, infatti, c’è anche quello nostro (la nostra “cultura”) a fare da filtro e non bisogna dimenticarcene.
Un fotografo che voglia attenuare l’incertezza dell’impressione, potrà, come Gianni Berengo Gardin dice sempre di fare da quando gli capitò di mostrare alcune sue foto (una in particolare) ad una classe di bambini cinesi, affiancare all’immagine delle parole (luogo, anno, evento ritratto, ora del giorno, ecc.), o, alla Mauro, far trasparire il suo “Io” in modo così preponderante da fare in modo che a quasi tutti gli osservatori la fotografia dica cose simili.
In ogni caso, però, l’incertezza dell’impressione, anche se mitigata, perché in qualche modo indirizzata dall’autore, resterà.
In sintesi, la scarnificazione della fotografia, la separazione del “puro”elemento ritratto dall’impressione che l’autore vuole trasmettere e da quella che la cultura dell’osservatore gli consente di recepire, è l’unico modo che penso esista per ri-velare il “reale vero” a chi fruisce dell’immagine non avendola posta in essere.
Marcello
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Stefano Tambalo
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mauro ruscelli ha scritto:Diciamo la stessa cosa, come introdotto nel primo post:
La vera discriminante e' SE IL FOTOGRAFO MENTE, questa e' la vera domanda.

oppure

Spesso il reportage di grandi fotografi corre gli stessi rischi interpretativi (secondo me), infatti le idee politiche di chi scatta vanno sempre considerate.
Questa e' la discriminante: l'interpretazione, la chiave di lettura che il fotografo vuole dare. La fotografia di suo registra, mica fa altro. E' uscito proprio in questi giorni un articolo sul blog di Smargiassi sul il diritto alle riprese fotografiche durante le manifestazioni/scontri e un suo libro, edito da Contrasto, sullo stesso tema del rapporto fotografia/verita'. In assoluto, come dice Carlo, la fotografia e' vera anche per me. Vera in senso di esistita. Se il fotografo vuol mentire, che lo faccia; se vuol far passare per testimonianza quel che gli fa comodo, avanti. Se Mauro vuol associare a un conflitto affettivo una foto scattata in uno dei (magari rari) momenti buoni o se Marco mostra cupi i parenti che son invece solari, la responsabilita' e' della fotografia? Non direi, a prescindere dal fatto che esistano o meno scatti in cui la correlazione tempo/emozione sia positiva. Nell'evoluzione temporale di un evento, noi campioniamo a centesimi di secondo.. Se vogliamo utilizzare campioni non rappresentativi per descrivere in maniera alterata il fenomeno, la responsabilita' e' nostra.
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mauro ruscelli
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Sarai mica un ingegnere anche tu
Mauro

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doh!
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ario arioldi ha scritto:Per chi non la conoscesse credo sia istruttivo, oltre che esemplificativo, leggere la ricostruzione, verosimile se non vera, di una foto icona molto famosa, quella di Nick Ut, dove la probabile parziale costruzione scenografica da parte del fotografo e la manipolazione editoriale da parte dell'Associated Press concorrono a trasmettere un messaggio non ingannevole e tuttavia ottenuto attraverso una qualche forma di artifizio prima, durante e dopo lo scatto.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=& ... mA&cad=rja
Bell'esempio, ne riporto un altro.
Da qui:
http://smargiassi-michele.blogautore.re ... ra-di-hcb/
Allegati
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Stefano Tambalo
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edito col link che non potevo riportare prima:

Garibaldi

e riporto un estratto:

"In secondo luogo: non fidatevi ciecamente delle immagini. Non dimostrano nulla, da sole. Neppure quelle che mostrano qualcosa di brutale. Se vi affidate solo a loro, non vi aiuteranno, vi tradiranno.

Non basta vedere il manganello di un poliziotto incombere sulla testa di un manifestante per essere già certi di avere dimostrato l’aggressione a un innocente disarmato. Le immagini non dicono mai tutta la verità, non dicono mai soltanto la verità, e a volte dicono tutt’altro che la verità.

Ma anche qui per vostra fortuna vale il reciproco: non lo fanno le vostre, ma non lo fanno neppure quelle della polizia: non basta la scia di un fumogeno per dimostrare che l’aggressione è partita dai manifestanti.

Le immagini sono indizi di verità, da sottoporre a stretto contro-interrogatorio nel mondo reale, alla verifica della testimonianza e della prova. E la prova migliore a discolpa di chi sta nel giusto, è starci davvero, non solo nelle fotografie. "
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