Da Mack acquisto ogni tanto, l'ho sempre trovata una casa editrice molto interessante. Pubblica anche lavori di fotografi italiani. Lo fa anche Patrick Frey, anche se meno con i piedi per terra. E secondo me la fotografia deve rimanere con i piedi per terra, senza ibridarsi con il nuovo corso dell'arte contemporanea.cliqueur ha scritto: ↑dom set 11, 2022 10:54 pm Continuando il discorso cominciato con Mauro Ruscelli ho trovato due case editrici particolari (almeno per come la vedo io):
- https://mackbooks.eu/, britannica ma con sede in Germania.
La seconda più “originale” della prima. I cataloghi non sono facilissimi da consultare (le pre-view ci sono), gli autori variamente noti (Alec Soth, Guido Guidi ma anche Marianne Mueller e Claudio Cambon, che è franco-statunitense), ma ci sono opere e idee molto interessanti.
- https://www.editionpatrickfrey.com/en, svizzera.
Nella mia ricerca volta in avanti ho trovato cose che mi attraggono.
La fotografia è “altro”
Moderatori: NatRiscica, maucas, simone toson, luca rubbi
Sono d’accordo con te, Mack è più “concreta”, ho preso Guido Guidi, che non conoscevo, ma anche Soth, che mi piace molto: una evoluzione di Stephen Shore molto interessante. Ognuno rischia imprenditorialmente come sa. Guido Guidi è fotografo molto interessante, anche come persona.
Frey è più eclettico e poliedrico, non è solo editore. E non gli interessa solo la fotografia: questa “ibridazione” è comunque interessante. Ho preso un suo libro di Lois Hechenblaikner, fotografo austriaco che documenta la “società turistica”. In questo caso ha fatto una ricerca socio-antropologica e politica sulle schede dei clienti dell’albergo svizzero Waldhaus Vulpera dai primi del ‘900 agli anni 1960, narrazione e analisi di ciò che gli addetti dell’albergo annotavano sui loro ospiti, anche molto noti. Molto interessante. L’albergo è poi bruciato completamente - per incendio doloso - alla fine degli anni 1980, assieme alle schede recenti (forse elettroniche …).
Per il resto, Hechenblaikner è “estremamente con i piedi per terra”, se si guardano i suoi documenti sulle stazioni sciistiche, lo sci e, soprattutto, l’aprés ski.
Mi è anche piaciuto il libro di Marianne Mueller, fotografa e artista svizzera che sviluppa una descrizione della propria vita personale tra autoritratti, dettagli e disegni.
Mi trovo con la tua preferenza per una fotografia concreta e radicata nella realtà. Ma sono attratto da certi tipi di contaminazioni che “aprono” la mia immaginazione, come quelle proposte da Frey.
P.S. ho una preghiera personale: potresti per favore usare il pulsante di “citazione” in modo selettivo, lasciando solo quelle parti di post precedenti che desideri effettivamente dibattere? Lo preferirei. Grazie.
Rispondo alle ultime righe per iniziare: non l'ho mai fatto e penso che mai lo farò, sono sincero, sono abitudinario e anche un po' pigro. Nello specifico caso del messaggio precedente, però, penso proprio di esserci riuscito (o quasi).cliqueur ha scritto: ↑mar set 20, 2022 6:00 amSono d’accordo con te, Mack è più “concreta”, ho preso Guido Guidi, che non conoscevo, ma anche Soth, che mi piace molto: una evoluzione di Stephen Shore molto interessante. Ognuno rischia imprenditorialmente come sa. Guido Guidi è fotografo molto interessante, anche come persona.
Frey è più eclettico e poliedrico, non è solo editore. E non gli interessa solo la fotografia: questa “ibridazione” è comunque interessante. Ho preso un suo libro di Lois Hechenblaikner, fotografo austriaco che documenta la “società turistica”. In questo caso ha fatto una ricerca socio-antropologica e politica sulle schede dei clienti dell’albergo svizzero Waldhaus Vulpera dai primi del ‘900 agli anni 1960, narrazione e analisi di ciò che gli addetti dell’albergo annotavano sui loro ospiti, anche molto noti. Molto interessante. L’albergo è poi bruciato completamente - per incendio doloso - alla fine degli anni 1980, assieme alle schede recenti (forse elettroniche …).
Per il resto, Hechenblaikner è “estremamente con i piedi per terra”, se si guardano i suoi documenti sulle stazioni sciistiche, lo sci e, soprattutto, l’aprés ski.
Mi è anche piaciuto il libro di Marianne Mueller, fotografa e artista svizzera che sviluppa una descrizione della propria vita personale tra autoritratti, dettagli e disegni.
Mi trovo con la tua preferenza per una fotografia concreta e radicata nella realtà. Ma sono attratto da certi tipi di contaminazioni che “aprono” la mia immaginazione, come quelle proposte da Frey.
P.S. ho una preghiera personale: potresti per favore usare il pulsante di “citazione” in modo selettivo, lasciando solo quelle parti di post precedenti che desideri effettivamente dibattere? Lo preferirei. Grazie.
Non conoscevo Hechenblaikner e nemmeno i suoi lavori ma ad un primo sguardo veloce mi piace e appena avrò tempo approfondirò.
Per quanto riguarda l'ibridazione mi riferisco agli artisti fotografi e a chi usa la fotografia in un determinato modo per documentare la propria opera. Come dice un mio amico il fotografo deve limitarsi a fare il fotografo e non tentare o peggio credere di essere un (grande? grande!) artista. La penso come lui.
Non è difficile, basta lasciare i tag tra parentesi quadre e ritagliare il testo che non serve. Si riduce il casino … e poi sei riuscito nell’ultimo post.roger ha scritto: ↑mar set 20, 2022 4:00 pmRispondo alle ultime righe per iniziare: non l'ho mai fatto e penso che mai lo farò, sono sincero, sono abitudinario e anche un po' pigro. Nello specifico caso del messaggio precedente, però, penso proprio di esserci riuscito (o quasi).
Dovremmo incamminarci su una lunga strada per definire cosa vuol dire “fare il fotografo”. Sicuramente definire non è cosa né immediata né scontata.roger ha scritto: Non conoscevo Hechenblaikner e nemmeno i suoi lavori ma ad un primo sguardo veloce mi piace e appena avrò tempo approfondirò.
Per quanto riguarda l'ibridazione mi riferisco agli artisti fotografi e a chi usa la fotografia in un determinato modo per documentare la propria opera. Come dice un mio amico il fotografo deve limitarsi a fare il fotografo e non tentare o peggio credere di essere un (grande? grande!) artista. La penso come lui.
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una definizione che ho da sempre fatta mia:
"fare il fotografo" cioè fotografare per vivere
"essere un fotografo" cioè vivere per fotografare
"fare il fotografo" cioè fotografare per vivere
"essere un fotografo" cioè vivere per fotografare
Qua ci spostiamo in un altro ambito ancora ma concordo.Enrico-To53 ha scritto: ↑mer set 21, 2022 3:01 pm una definizione che ho da sempre fatta mia:
"fare il fotografo" cioè fotografare per vivere
"essere un fotografo" cioè vivere per fotografare
Appena mi capita sottomano qualche esempio di quello che intendo , lo condivido.
Ci sono artisti-fotografi
Documentaristi-artisti.
La fotografia è un modo di esprimersi.
Non direi che campare di fotografia aiuti la classificazione, visto che è sempre più difficile vivere di essa. La varietà è ampia, le definizioni molteplici e i modi di esprimersi molto diversi.
PS mi sembra che funzioni anche senza chilometriche citazioni ...
Documentaristi-artisti.
La fotografia è un modo di esprimersi.
Non direi che campare di fotografia aiuti la classificazione, visto che è sempre più difficile vivere di essa. La varietà è ampia, le definizioni molteplici e i modi di esprimersi molto diversi.
PS mi sembra che funzioni anche senza chilometriche citazioni ...
Le citazioni si possono anche eliminare. Ma sono un modo per dire: "hey, ti ho risposto!".
E intere, perché io non mi prendo la briga di decidere cosa è più o meno importante in un discorso altrui che sto citando. Questo per me è il reale motivo.
Fotografi, nel senso di persone che grazie ad un mezzo meccanico o elettronico scattano fotografie, lo si può diventare abbastanza facilmente.
Artisti no. Artisti si nasce, non si diventa e non è un vecchio luogo comune. Purtroppo oggi e non solo oggi siamo circondati da gente che si autodefinisce artista ma non è così che funziona. E finché esisteranno scuole che lo fanno credere sarà difficile togliere questo concetto dalla testa delle persone.
David LaChapelle è considerato un grande artista che lavora nel campo della fotografia, per me fa solo robaccia di gusto orrendo e che con l'avvento del digitale è ulteriormente peggiorata.
Ecco un esempio.
E intere, perché io non mi prendo la briga di decidere cosa è più o meno importante in un discorso altrui che sto citando. Questo per me è il reale motivo.
Fotografi, nel senso di persone che grazie ad un mezzo meccanico o elettronico scattano fotografie, lo si può diventare abbastanza facilmente.
Artisti no. Artisti si nasce, non si diventa e non è un vecchio luogo comune. Purtroppo oggi e non solo oggi siamo circondati da gente che si autodefinisce artista ma non è così che funziona. E finché esisteranno scuole che lo fanno credere sarà difficile togliere questo concetto dalla testa delle persone.
David LaChapelle è considerato un grande artista che lavora nel campo della fotografia, per me fa solo robaccia di gusto orrendo e che con l'avvento del digitale è ulteriormente peggiorata.
Ecco un esempio.
È un discorso molto lungo e vario. I fotografi in qualche modo meritevoli di attenzione sono tantissimi e ci sono molti veri artisti.
L'artista, secondo me, è un precursore, una che si disinteressa di quello che pensano gli altri, che provoca una reazione nello spettatore, una reazione che resta. Ci sono tanti modi per farlo. Si impara? È un talento naturale?
Non te lo so dire.
So quali fotografe "bucano" la carta. Per me. Alcune proprio non la bucano, ma forse dipende da me (maybe it's me).
Bruno Munari, designer, dice "ognuno vede quel che sa".
Sarò banale, ma pur conoscendo molti fotografi so che sono molti di più quelli che non conosco.
Posseggo un libro Criticizing Photographs di un certo Terry Barrett, professore di critica ed estetica all'Ohio State University. Mi ha dato qualche chiave di lettura ma certo non la pietra filosofale per distinguere. Molti provano a darti delle check-list: lo fa Barrett ma anche alcuni altri che mi vengono in mente. Ma non sono la soluzione.
Conosco molto vagamente David LaChapelle e le sue allegorie, non mi piace particolarmente. Conosco più Jeff Wall e Gregory Crewdson e gli allievi dei Becher: Ruff, Struth, Gursky, Höfer, etc.
A volte, mi sembra, l'arte è più una questione di promozione e di cartellino del prezzo. Il supporto di un critico d'arte famoso aiuta. Anche quello di un editore famoso.
In campo musicale mi ricordo un mio professore di musica a scuola che paragonava la complessità di Debussy o Rachmaninov a quella della musica rock o pop che ascoltavamo noi. E ci diceva implicitamente che eravamo dei sempliciotti. Bella scoperta, a 14 anni! Forse non conosceva veramente pop e rock per capire la complessità compositiva che può avere la musica moderna. E vedere come struttura compositiva e vendite erano, e sono, intrecciate.
Paolo Pellegrin, grande reporter, secondo me è un artista. Sergio Ramazzotti, grande reporter e narratore, no. Sempre secondo me.
Potrei continuare all'infinito.
Hai ragione: ci sono aree geografiche, USA per esempio, ma anche UK, nelle quali i fotografi spesso si autodefiniscono “artista”. Contenti loro. Io non sono che un “cliqueur”.
E in fondo, nel termine arte c’è l’artigiana, che è qualcuna che sa fare con perizia e crea. Adesso è tutto semplice, pensiamo ai pittori che dovevano crearsi i pigmenti o ai primi fotografi, che dovevano farsi il materiale fotosensibile.
Grazie per le tue risposte, Roger.
L'artista, secondo me, è un precursore, una che si disinteressa di quello che pensano gli altri, che provoca una reazione nello spettatore, una reazione che resta. Ci sono tanti modi per farlo. Si impara? È un talento naturale?
Non te lo so dire.
So quali fotografe "bucano" la carta. Per me. Alcune proprio non la bucano, ma forse dipende da me (maybe it's me).
Bruno Munari, designer, dice "ognuno vede quel che sa".
Sarò banale, ma pur conoscendo molti fotografi so che sono molti di più quelli che non conosco.
Posseggo un libro Criticizing Photographs di un certo Terry Barrett, professore di critica ed estetica all'Ohio State University. Mi ha dato qualche chiave di lettura ma certo non la pietra filosofale per distinguere. Molti provano a darti delle check-list: lo fa Barrett ma anche alcuni altri che mi vengono in mente. Ma non sono la soluzione.
Conosco molto vagamente David LaChapelle e le sue allegorie, non mi piace particolarmente. Conosco più Jeff Wall e Gregory Crewdson e gli allievi dei Becher: Ruff, Struth, Gursky, Höfer, etc.
A volte, mi sembra, l'arte è più una questione di promozione e di cartellino del prezzo. Il supporto di un critico d'arte famoso aiuta. Anche quello di un editore famoso.
In campo musicale mi ricordo un mio professore di musica a scuola che paragonava la complessità di Debussy o Rachmaninov a quella della musica rock o pop che ascoltavamo noi. E ci diceva implicitamente che eravamo dei sempliciotti. Bella scoperta, a 14 anni! Forse non conosceva veramente pop e rock per capire la complessità compositiva che può avere la musica moderna. E vedere come struttura compositiva e vendite erano, e sono, intrecciate.
Paolo Pellegrin, grande reporter, secondo me è un artista. Sergio Ramazzotti, grande reporter e narratore, no. Sempre secondo me.
Potrei continuare all'infinito.
Hai ragione: ci sono aree geografiche, USA per esempio, ma anche UK, nelle quali i fotografi spesso si autodefiniscono “artista”. Contenti loro. Io non sono che un “cliqueur”.
E in fondo, nel termine arte c’è l’artigiana, che è qualcuna che sa fare con perizia e crea. Adesso è tutto semplice, pensiamo ai pittori che dovevano crearsi i pigmenti o ai primi fotografi, che dovevano farsi il materiale fotosensibile.
Grazie per le tue risposte, Roger.
Come si legge un libro fotografico
Dopo un tempo in cui ho pensato che fotografia volesse dire “attrezzatura fotografica” e in cui parlavo – non sempre in modo appropriato – di fotografi che non conoscevo realmente, ho scoperto i libri fotografici.
La letteratura mi ha attratto molto, da sempre, e mi sembra che leggere un libro di parole sia meno complesso che leggere un libro fotografico.
Siamo tutti abituati al significato delle singole parole, alla sintassi, alle regole ed alle forme verbali. L'autrice/scrittore ha definito la struttura del testo, denomina i personaggi per nome, sostantivi, aggettivi, verbi e gli altri elementi linguistici danno la possibilità di descriverne l'essenza e l'evoluzione, definire e descrivere l’azione principale ed i vari, ulteriori flussi narrativi. Tutto questo, le parole e le combinazioni di parole, le frasi, le strutture, vengono usate dall’autore per realizzare e trasferire alla lettrice la narrazione. Il “linguaggio scrittura” è uno strumento tradizionalmente codificato e quindi trasmissibile e comprensibile. La disposizione del testo, la lunghezza, l'articolazione in capitoli, la maggiore o minore strutturazione contribuiscono alla composizione di detta narrazione.
Anche un libro fotografico deve essere considerato come un’opera concepita unitariamente. L’autrice del libro, il fotografo, la curatrice, assemblano l’opera scegliendo le fotografie, editandole, sequenziandole, disponendole secondo la propria intenzione, proprio come la scrittrice o il poeta. Il "linguaggio fotografia" è meno codificato, forse semplicemente meno conosciuto ai più. Le didascalie, i testi introduttivi possono esserci o non esserci ed il risultato meno univoco, i legami tra le immagini sono più tenui, il messaggio di ogni singola foto meno univoco e potenzialmente ambiguo, molto ambiguo.
Queste riflessioni scaturiscono dalla osservazione dei miei libri fotografici, accomunati nei miei interessi ma così diversi tra loro: Paolo Pellegrin diverso da Roger Ballen, da Joel Meyerowitz, Valentina Tamborra, Pail Graham, Alec Soth, Davide Monteleone, Raymond Depardon e Evelyn Hofer, Koudelka, Stephen Shore, Martin Parr, Eugene Richards, e tanti altri.
Spesso li sfoglio, alcuni più volentieri, altri mi hanno deluso e sono tentato di cederli. Resto colpito da questa o quella fotografia sulla pagina, ma non basta, capisco che devo cercare oltre, più in profondità. Dentro un libro fotografico c’è più della foto singola che salta fuori dalla pagina, c’è quello che l’autore ha voluto inserire, e trasferire, a chi guarda. Oltre le singole fotografie c’è un filo, ma questo filo è spesso non chiaro: c’è di più, ci sono più possibilità, più stratificazioni, più ramificazioni. Ciò che vedo si inserisce in uno spazio multidimensionale che può essere ricchissimo, e non solo per quello che ci mette l’autore. È altrettanto importante ciò che ci metto io che guardo.
Sfogliare un libro fotografico probabilmente parte dal visibile e dalle impressioni e associazioni che suscita e poi spazia tra le suggestioni di tutto ciò che nel libro è stato messo dall’autore, e che la "lettrice" prova a mettere in contatto con le proprie sensazioni e quello che sa e conosce, tessendo una tela che appare ineffabile.
Dopo un tempo in cui ho pensato che fotografia volesse dire “attrezzatura fotografica” e in cui parlavo – non sempre in modo appropriato – di fotografi che non conoscevo realmente, ho scoperto i libri fotografici.
La letteratura mi ha attratto molto, da sempre, e mi sembra che leggere un libro di parole sia meno complesso che leggere un libro fotografico.
Siamo tutti abituati al significato delle singole parole, alla sintassi, alle regole ed alle forme verbali. L'autrice/scrittore ha definito la struttura del testo, denomina i personaggi per nome, sostantivi, aggettivi, verbi e gli altri elementi linguistici danno la possibilità di descriverne l'essenza e l'evoluzione, definire e descrivere l’azione principale ed i vari, ulteriori flussi narrativi. Tutto questo, le parole e le combinazioni di parole, le frasi, le strutture, vengono usate dall’autore per realizzare e trasferire alla lettrice la narrazione. Il “linguaggio scrittura” è uno strumento tradizionalmente codificato e quindi trasmissibile e comprensibile. La disposizione del testo, la lunghezza, l'articolazione in capitoli, la maggiore o minore strutturazione contribuiscono alla composizione di detta narrazione.
Anche un libro fotografico deve essere considerato come un’opera concepita unitariamente. L’autrice del libro, il fotografo, la curatrice, assemblano l’opera scegliendo le fotografie, editandole, sequenziandole, disponendole secondo la propria intenzione, proprio come la scrittrice o il poeta. Il "linguaggio fotografia" è meno codificato, forse semplicemente meno conosciuto ai più. Le didascalie, i testi introduttivi possono esserci o non esserci ed il risultato meno univoco, i legami tra le immagini sono più tenui, il messaggio di ogni singola foto meno univoco e potenzialmente ambiguo, molto ambiguo.
Queste riflessioni scaturiscono dalla osservazione dei miei libri fotografici, accomunati nei miei interessi ma così diversi tra loro: Paolo Pellegrin diverso da Roger Ballen, da Joel Meyerowitz, Valentina Tamborra, Pail Graham, Alec Soth, Davide Monteleone, Raymond Depardon e Evelyn Hofer, Koudelka, Stephen Shore, Martin Parr, Eugene Richards, e tanti altri.
Spesso li sfoglio, alcuni più volentieri, altri mi hanno deluso e sono tentato di cederli. Resto colpito da questa o quella fotografia sulla pagina, ma non basta, capisco che devo cercare oltre, più in profondità. Dentro un libro fotografico c’è più della foto singola che salta fuori dalla pagina, c’è quello che l’autore ha voluto inserire, e trasferire, a chi guarda. Oltre le singole fotografie c’è un filo, ma questo filo è spesso non chiaro: c’è di più, ci sono più possibilità, più stratificazioni, più ramificazioni. Ciò che vedo si inserisce in uno spazio multidimensionale che può essere ricchissimo, e non solo per quello che ci mette l’autore. È altrettanto importante ciò che ci metto io che guardo.
Sfogliare un libro fotografico probabilmente parte dal visibile e dalle impressioni e associazioni che suscita e poi spazia tra le suggestioni di tutto ciò che nel libro è stato messo dall’autore, e che la "lettrice" prova a mettere in contatto con le proprie sensazioni e quello che sa e conosce, tessendo una tela che appare ineffabile.
Enrico in un suo post fa riferimento a due aspetti molto interessanti del fotografare:
Il secondo dovrebbe essere l’unico che conta, considerando la fotografia nella sua autonomia, ma spesso non è così.
Ma niente giacobinismi.
- Il percorso
- Il risultato
Il secondo dovrebbe essere l’unico che conta, considerando la fotografia nella sua autonomia, ma spesso non è così.
Ma niente giacobinismi.
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- Iscritto il: sab mar 06, 2021 5:50 pm
giustissimo Luca,
il secondo (il risultato) in fotografia, che è "arte" (naturalmente virgolettata) estremamente dipendente dalla tecnica, è sovente influenzato dal percorso, al punto che non si dovrebbe prescindere dall'approfondire (studiando e provando) tutte le tecniche necessarie al mettere infine su carta le proprie idee; le frasi che sovente sento tipo: "ah, io non faccio nulla se non minime cose", che equivaleva, ai tempi della sola pellicola, a: "io scatto poi porto il rullino nel negozietto all'angolo" con risultati di grigiume e altro che mortifica qualsiasi immagine.
io credo che l'intero percorso debba essere considerato all'atto dello scatto; l'idea che porta a premere il pulsante unita al percorso necessario a renderla al meglio, inscindibili tra loro.
un tempo forse si sarebbe potuto definire Off Topic, questa chiacchiera, ma giusto per alimentare un discorso ci dovrebbe stare
il secondo (il risultato) in fotografia, che è "arte" (naturalmente virgolettata) estremamente dipendente dalla tecnica, è sovente influenzato dal percorso, al punto che non si dovrebbe prescindere dall'approfondire (studiando e provando) tutte le tecniche necessarie al mettere infine su carta le proprie idee; le frasi che sovente sento tipo: "ah, io non faccio nulla se non minime cose", che equivaleva, ai tempi della sola pellicola, a: "io scatto poi porto il rullino nel negozietto all'angolo" con risultati di grigiume e altro che mortifica qualsiasi immagine.
io credo che l'intero percorso debba essere considerato all'atto dello scatto; l'idea che porta a premere il pulsante unita al percorso necessario a renderla al meglio, inscindibili tra loro.
un tempo forse si sarebbe potuto definire Off Topic, questa chiacchiera, ma giusto per alimentare un discorso ci dovrebbe stare
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- Iscritto il: sab mar 06, 2021 5:50 pm
messaggio per provare il funzionamento
e per salutare tutti i partecipanti
e per salutare tutti i partecipanti
Molti post fa in questo thread abschied diceva “la fotografia documenta un dato di realtà”.
Quindi tutte le fotografie di questo mondo presentano soggetti conoscibili da qualunque osservatore indipendentemente dalla fotografia stessa, perché ogni osservatore conosce la realtà.
Quindi ogni fotografia è potenzialmente già vista nella realtà e nella sua rappresentazione fotografica da ogni osservatore, vista la proliferazione di immagini da tutti notata.
Ma quanto è difficile che il già visto ci provochi un piacere visivo quando ci viene ripresentato?
Non ci resta che presentare il già visto in un modo originale, autentico e fuori dai cliché.
Quindi tutte le fotografie di questo mondo presentano soggetti conoscibili da qualunque osservatore indipendentemente dalla fotografia stessa, perché ogni osservatore conosce la realtà.
Quindi ogni fotografia è potenzialmente già vista nella realtà e nella sua rappresentazione fotografica da ogni osservatore, vista la proliferazione di immagini da tutti notata.
Ma quanto è difficile che il già visto ci provochi un piacere visivo quando ci viene ripresentato?
Non ci resta che presentare il già visto in un modo originale, autentico e fuori dai cliché.
Oppure presentare il “non visto”, il “non conosciuto”. Tutto considerato sono gli individui, nella loro singolarità personale e collettiva, ad essere la vera nota innovativa.
Tutti i fotografi, tolti i reporter che hanno un loro teatro diverso, che mi vengono in mente, lavorano così.